Parlano i due registi belgi
Intervista a Jean-Pierre e Luc Dardenne: “Da Piantedosi parole terribili, sui migranti solo pregiudizi”
L’Italia dei film festival in questi giorni si sta mobilitando in onore di due istituzioni del cinema d’autore, i due volte Palma d’Oro al Festival di Cannes, Jean-Pierre e Luc Dardenne, orgoglio cinematografico del Belgio. A cavallo dell’uscita in sala del loro ultimo lavoro, Tori e Lokita, con Lucky Red il 24 novembre, i due registi saranno celebrati al 63° Festival dei Popoli di Firenze con una retrospettiva dei loro film – in programma nei cinema La Compagnia e Stensen – che culminerà in una masterclass il 12 novembre. Non sarà da meno il Museo del Cinema di Torino che seguirà con un omaggio ai due cineasti, con una rassegna di otto titoli al Cinema Massimo e la seconda anteprima del nuovo film. Tra i due omaggianti, a noi l’onore di incontrarli prima di queste celebrazioni per farci raccontare tutto su Tori e Lokita, il loro approccio al cinema, tra sogni, speranze e denuncia.
Come nasce Tori e Lokita?
Luc: Una decina di anni fa stavamo lavorando ad una sceneggiatura su una famiglia di immigrati, una madre e due figli, che poi non ha visto realizzazione e negli ultimi tre anni sentivamo sempre dei casi di minori non accompagnati che arrivavano nei paesi europei e poi se ne perdevano le tracce. Ci siamo detti “non è normale che succeda una cosa del genere a dei giovani che arrivano nelle nostre società”. Quindi abbiamo deciso di mettere al centro del nostro prossimo film due individui, due bambini e che il motore di questa nostra storia sarebbe stata l’amicizia.
Perché era importante che questa fosse una storia di amicizia e non di sopravvivenza?
Jean-Pierre: È anche una storia di sopravvivenza, grazie all’amicizia. I migranti partono da soli, sono soli, ed è per questo che all’arrivo hanno bisogno di qualcuno, di un amico, qualcuno a cui dar fiducia, che magari parli la loro lingua. L’amicizia, in qualche modo, rappresenta un po’ la loro sorta di asilo che gli permette di superare queste situazioni, queste difficoltà e tragicità della loro condizione.
Come avete trovato i due interpreti, Pablo Schils e Joely Mbundu e come li avete guidati in questo difficile percorso?
Jean-Pierre: I ragazzi sono due attori che non avevano mai girato un film prima e li abbiamo scelti con un casting. Joely ha 16 anni e Pablo 12. Non siamo abituati a raccontare la sceneggiatura ai nostri attori ma ci siamo resi conto che questi ragazzi capivano quello che avrebbero dovuto fare. Abbiamo anche notato come Joely abbia cercato di mettere una distanza tra lei e il personaggio di Lokita. Arrivava con una parrucca e poi quando doveva iniziare a girare, se la toglieva, proprio come a marcare la differenza. Alla fine del film, ci ha proprio detto che era cresciuta e aveva perduto un po’ della sua innocenza. Pablo con Tori invece ha colto l’aspetto avventuroso delle riprese e siamo sicuri che crescendo capirà. Lo prendeva un po’ come un gioco, gli piaceva scappare dal cattivo e scherzava sul fatto che aveva capito che lui era quello che sopravviveva. Diceva: “il personaggio più importante sono io, sono quello che sopravvive!”.
C’è poesia e concretezza nel legame fraterno tra Tori e Lokita ma non c’è romanticizzazione degli avvenimenti perché sarebbe stato, immaginiamo, come tradire la realtà. Come avete giocato su questi due piani?
Luc: Sì, effettivamente noi possiamo dire che in questo film c’è il lato oscuro, la clandestinità, la legge del più forte, il vivere o morire, la disuguaglianza, lo squilibrio. Poi, però, c’è anche l’aspetto avventura che è rappresentato un po’ da Tori che è quello che si muove continuamente, che cerca sempre di trovare la via d’uscita e che ci fa sempre sperare, pensare che ci sia un finale positivo per questi due personaggi. Di fronte a questo movimento, bisognava anche portare la verità, la realtà in tutta la sua crudezza e tragicità.
Il messaggio del film è universale ma si sente che vi state rivolgendo soprattutto all’Europa e all’Italia, con il riferimento alla canzone “Alla Fiera dell’est”, segno del passaggio dei due ragazzi anche nelle nostre terre. C’è la volontà di ricordare a noi europei che spesso siamo fermi a guardare?
Jean-Pierre: Penso proprio che forse uno dei messaggi che questi film realisti, se vogliamo chiamarli così, è dare vita a due persone, a due individui e non alla comunità dei migranti che fa così tanta paura e che spesso è vista dagli altri come pericolosa. Credo quindi che in qualche modo questo cinema voglia creare una sorta di dialogo silenzioso tra Tori e Lokita e fra Tori e Lokita e gli spettatori, di modo che si riesca in qualche modo a dare vita a due individui su scena.
Proprio a proposito dei migranti, in questi giorni si discute in Italia sull’utilizzo del termine “carico residuale” da parte del nostro Ministro dell’Interno. Quanto sono importanti, per il vostro lavoro, non solo le immagini ma le parole?
Luc: Sono parole terribili quelle con cui sono stati definiti i migranti dal vostro Ministro. Ed è proprio per questo atteggiamento che abbiamo voluto mettere al centro della storia due individui. In fondo questi ragazzi vogliono vivere, vorrebbero i documenti e vivere una vita normale nel paese. Insistiamo su questo fatto. Credo che il cinema possa cambiare un po’ le cose, spezzare i luoghi comuni, i pregiudizi e far sì che nelle immagini scorra sempre la vita vera di questi due individui. È soltanto in questo modo che noi possiamo resistere alle sirene delle parole che lei ha ricordato.
Di voi si dice spesso che fate film di denuncia e di sinistra. Non è però funzione primaria del cinema, raccontare la realtà e denunciarla?
Luc: La denuncia, come ha ricordato, è uno degli aspetti fondamentali del cinema ma ce ne sono anche altri. Io parlo sempre dell’importanza del sogno che non è semplicemente la pura distrazione o il semplice divertimento ma è anche immaginare un’altra vita. In questo film di sogni ce ne sono tanti, quando magari disegnano, quando fanno i loro ritratti, quando cantano insieme quella canzoncina, il tutto per poter evadere da quella che è la loro situazione triste e tragica.
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