Da un po’ di tempo a questa parte, si può affermare che non esiste festival internazionale di cinema senza Mario Martone con un film in concorso. Dopo l’ultima Mostra del Cinema di Venezia dove ha presentato Così rido io, ora, per il regista napoletano, è la volta del 75esimo Festival di Cannes dove rappresenta in tutto e per tutto l’Italia nella competizione ufficiale con Nostalgia.

Come in un viaggio nei meandri della sua Napoli, lungo direttive teatrali e letterarie, Martone scava sempre più a fondo nella città fino ad arrivare a raccontarne le viscere, quelle di un quartiere tanto conosciuto per fama quanto sconosciuto, il Rione Sanità. Lì Ermanno Rea ci ha ambientato il romanzo da cui è tratto il film, un mondo a sé stante, dove Felice, interpretato da Pierfrancesco Favino decide di ritornare dopo 40 anni di assenza e vita in Egitto. Rivedere l’anziana madre, lasciata all’improvviso quando era ancora un ragazzo e finire a perdersi nei ricordi che affiorano, fino a portare a galla una vecchia amicizia con Oreste, un quasi fratello che condivide un segreto.

L’emozione di Pierfrancesco Favino per essere stato accolto in quel mistero affascinante che è il quartiere ed averne potuto abbracciare usi, costumi e lingua, si tocca con mano ascoltando le sue parole qui a Cannes: “Ognuno di noi dentro di sé ha come un magnete interno, un proprio luogo che forse rappresenta il sé più intimo o addirittura il sé dei suoi avi. Trovo che la Sanità per paradosso, essendo così particolare, possa essere un qualsiasi luogo del mondo e sono molto affascinato dal fatto che Mario abbia raccontato la Napoli che può essere l’altrove, che quest’uomo si ritrovi nell’altrove e che l’altrove sia se stesso.

Penso che sia classicamente una cosa che fa parte del racconto. Ritornare è l’inizio di qualsiasi racconto e quindi forse quel gesto lì diventa più importante dell’approdo. Per noi che siamo abituati a far cinema sempre più come è scritto sulla carta, lasciarsi portare e accettare questa incertezza è un gesto artistico dal quale mi sono abbeverato con tanta arsura”. Con accanto non solo Pierfrancesco Favino ma anche la sua co-sceneggiatrice Ippolita di Majo e Aurora Quattrocchi, che nel film interpreta la madre di Felice, Teresa, Mario Martone ci guida all’interno di Nostalgia, sin dalla sua genesi.

Dal Rione Sanità è impossibile uscire?
Sono luoghi del cinema, dell’anima, c’è Napoli ma ci sono gli esseri umani che da dentro questi quartieri, questi labirinti che sono i quartieri, non escono. Mi affascinava del romanzo di Ermanno Rea la possibilità di fare un film tutto in un quartiere perché il film non si svolge a Napoli ma nel Rione Sanità che gli stessi napoletani conoscono poco, lontano dal mare. Questo mi dava la possibilità di immaginarlo come un labirinto, una scacchiera, quelle forme in cui si immagina che i personaggi compiano il loro percorso misurandosi con il proprio passato e presente e ciascuno per sé. Ci saranno poi gli incontri, a partire da quello con la madre che c’è nel film ma questo aveva una forma cinematografica che mi tentava e con la dimensione umana del quartiere Sanità, mi dava la possibilità di realizzare un vero e proprio coro.
La svolta per questo film è arrivata quando ho capito che bisognava fare un film non secondo la messa in scena di carattere tradizionale con le comparse etc ma buttarsi in strada come nel neorealismo italiano e nouvelle vague e incontrare le persone. Intorno a Pierfrancesco infine si trattava di creare dei rapporti validi sullo schermo.

Perché adattare questo romanzo di Ermanno Rea?
Il romanzo ce l’ha proposto Luciano Stella, il produttore, che aveva preso i diritti. Mi hanno detto di leggere il libro, Ippolita lo aveva già adocchiato e tra di noi chi ha l’occhio lungo è lei. Tante volte mi sono stati proposti film molto belli e appropriati per me, ma se non succede qualcosa dentro di me, il film, non lo riesco a fare. Questo romanzo questo qualcosa ce l’aveva. Non so bene dire dove, il nostro è stato un percorso misterioso. Avevo già girato alla Sanità alle catacombe per un documentario, però non è che nel Rione si vada più, è un luogo di Napoli che ad un certo punto è caduto in ombra, ha finito di essere il percorso che il re faceva per andare a Capodimonte e la camorra ci ha messo le mani , facendolo diventare terra di nessuno per tanto tanto tempo. Ci abbiamo girato un qualcosa di fuori dal tempo, tra far west e mitologia. Questo personaggio lascia questo luogo perché se ne deve andare e non vuole tornare al prezzo di non vedere sua madre per 40 anni. Spinto dalla moglie, tornerà. Uno fa film come questi perché ci sono parti di sé che risuonano e in questo incontro risuonavano mia madre e mio padre attraverso la figura di Raffaele. E credo che come me ognuno di noi ha sentito risuonare parte di se stesso e spero che gli spettatori ritrovino cose che li riguardano. Mi auguro che questo film faccia fare tante domande su Napoli, sulla Sanità e susciti tante emozioni.

Ci descrive la scelta di Pierfrancesco Favino come protagonista?
Sicuramente una delle cose che ha affascinato noi che abbiamo scritto la sceneggiatura è stato capire che Napoli può e deve essere tante cose innanzitutto e che può porsi come luogo dove un attore della potenza e sensibilità di Pierfrancesco possa venire e farsi napoletano. Felice è un personaggio molto atipico nel cinema italiano, non è un eroe, è difficile capire le sue motivazioni ed è affidato ad un’emotività e scatti che non ti aspetti . C’era qualcosa in questo personaggio inesplorato.

Nostalgia non è solo un film maschile, perché?
È un film chiaramente molto maschile ma è stato fatto, come tutti i miei film, da diverse persone e da donne che hanno una grande importanza in questo film: Ippolita di Majo, Aurora Quattrocchi, Sofia Essaidi. Vi chiedo di guardare anche la gran parte del lato femmibile di questo film.