Parla il regista
Intervista a Ari Folman regista de Anna Frank e il diario segreto: “Ma nel mondo vince la destra…”

Esce oggi con Lucky Red, il nuovo capolavoro d’animazione diretto dal regista israeliano Ari Folman: Il diario segreto di Anna Frank. Presentato fuori concorso al Festival di Cannes, il film si rivolge ad un giovane pubblico e racconta, attraverso Kitty, l’amica immaginaria a cui la tredicenne Frank indirizzava le sue parole, durante la scrittura del diario ed anche il dopo, i meno conosciuti 7 mesi di campo di concentramento sopportati da Anna prima della sua morte. Kitty si ritrova ai giorni nostri, alla ricerca della sua amica Anna, di cui ignora la scomparsa. Dialogando con il nostro tempo, Ari Folman riesce a descrivere l’orrore della Shoah e al tempo stesso, ricordarci chi soffre in questo momento. Lo incontriamo per una breve intervista durante la sua visita a Roma.
Come nasce “Il Diario Segreto di Anna Frank”?
Ho avuto un’offerta dalla Fondazione Anna Frank di Basilea per realizzare il film ma ho rifiutato inizialmente. Su di lei era stato già detto e fatto tutto e non credevo di poter fare qualcosa di diverso. Ho riletto il diario e ho pensato che fosse veramente straordinario che l’avesse scritto una tredicenne. Poi, mia madre, ebrea polacca e sopravvissuta ai campi di sterminio, mi ha minacciato dicendomi che se non l’avessi fatto, lei sarebbe morta. Se avessi accettato, invece, sarebbe vissuta fino a quando non l’avessi finito. Per questo ci ho messo 8 anni, ho prolungato la sua aspettativa di vita e quest’anno lei compie 100 anni. Ha anche visto il film e ha detto: “Sì, ma ci hai messo il doppio del tempo che ci ha messo l’Olocausto a fare quello che ha fatto’.
Perchè Kitty come protagonista?
Alla ventesima rilettura del diario, mi sono soffermato sulla descrizione che Anna fa della sua amica immaginaria Kitty. È un vero e proprio manuale su come costruirla in laboratorio. C’è tutto: le sue labbra, naso, il corpo, i movimenti, il suo carattere. Ho solo cambiato il colore dei capelli. Uno dei miei disegnatori, da queste caratteristiche, ha iniziato a buttare giù una bozza e quando l’ho vista, ho detto: “ok, lei è la protagonista, lei è la narratrice del film”.
Ha avuto libertà su come realizzare il film?
Sì ma prima di accettare, ho posto tre condizioni. Il film doveva essere indirizzato ai giovani. Kitty è infatti un personaggio favolistico, inizialmente fatta di inchiostro e di parole. La seconda condizione era poter raccontare gli ultimi 7 mesi di vita di Anna Frank perché non se n’è mai parlato. Poi, ci doveva essere una connessione fra passato e presente senza però nessun tentativo di realizzare un paragone tra vittime della Shoah e rifugiati.
Ha però riscritto l’ultima parte della sceneggiatura per inserire la questione dei rifugiati.
Sì. Avevo letto una storia incredibile: durante la Guerra dei Balcani, in un villaggio vicino Sarajevo, c’era una ragazza che si faceva chiamare “la Anna Frank bosniaca” e negli anni iniziali di internet, ogni giorno postava una pagina sulla sua vita. Un elicottero della TV francese l’ha prelevata e portata a Parigi, ad un talk show. Le hanno chiesto cosa le sarebbe successo e lei ha risposto: “morirò, perché sono come Anna Frank”. Leggere questa storia mi ha scioccato tanto da ispirarmi a scrivere l’ultimo atto del film: un reality show chiamato “Anna Frank – the next generation” a cui avrebbero partecipato 10 ragazze, ognuna con il suo diario da differenti zone di guerra. La vincitrice sarebbe stata l’unica a poter tornare nel suo paese per realizzare un live show. Questo finale così cinico però, non è piaciuto al mio distributore che mi ha consigliato di cambiarlo, perché troppo radicale per gli spettatori. Nello stesso periodo era iniziata la crisi dei rifugiati in Europa e quindi ho deciso di virare su quello e riscrivere l’ultima parte.
Che ci dice del ritorno dell’estrema destra nel governo di molti paesi?
Da quando sono atterrato in Italia non sento parlare che di politica. Anche il mio paese si sta spostando verso l’estrema destra ma, uno dei principali conflitti, la creazione della stato Palestinese, è qualcosa di cui nessuno più si occupa. Io la vedo un po’ come un’ondata che sta colpendo anche altri paesi. Credo che siamo a metà strada in questa escalation in termini di diritti umani, mi piacerebbe essere ottimista, ma temo che il peggio debba ancora venire.
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