Il Consiglio europeo si riunisce mentre al di là dei confini europei si sommano sfide sempre più complesse. I capi di Stato e di governo dell’Unione devono provare a fornire risposte che, in questo momento, appaiono sempre più difficili da cristallizzare. E il mondo intorno all’Europa sembra cambiare a una velocità molto maggiore rispetto a quella con cui reagiscono le istituzioni Ue.

L’Ucraina, con la guerra che imperversa alle porte dell’Unione, resta l’elemento centrale. Non è dal Consiglio Ue che ci si può attendere una svolta politica, ma di certo la questione del sostegno militare a Kiev e del suo futuro all’interno del blocco sono temi decisivi. Questo soprattutto alla luce di due eventi che fanno da cronice prima e dopo il summit. Il primo è la crisi che ha colpito la Russia con la rivolta di Evgenij Prigozhin. Questione che da Washington e dalle capitali europee continuano a definire “interna alla Russia”, ma che inevitabilmente incide anche sulla strategia da adottare nei confronti del Cremlino. Alcuni Stati membri, a questo proposito, hanno già lanciato l’allarme sulla presenza della Wagner in Bielorussia.

Il secondo evento, che avrà luogo tra poche settimane, consiste invece nel summit della Nato a Vilnius. Un vertice di assoluta rilevanza, dal momento che tra i vari temi che saranno discussi vi è quello delle garanzie di sicurezza concesse a Kiev quando terminerà il conflitto, a partire da una sua futura adesione. Su questo tema, l’Europa appare unita a livello ideologico. Ma arrivare in sede Nato compatti nel delineare una prospettiva europea per il Paese invaso resta un punto interrogativo.

Inoltre, in Ue non mancano dibattiti profondamente divisivi sul modo in cui deve concretizzarsi l’aiuto all’Ucraina “finché è necessario”, a partire dall’impiego dei fondi Ue per migliorare l’industria della difesa degli Stati membri e assecondare le esigenze del Paese in guerra. Oltre all’Ucraina, altro tema centrale per il presente e per il futuro Ue è quello del fronte sud. Elemento spesso sottovalutato nel dibattito politico se non nell’ottica dei flussi migratori. I fattori di instabilità sono molti. Ma molte sono anche le novità geopolitiche che caratterizzano l’area a ridosso delle frontiere esterne dell’Ue.

La Wagner rimarrà nei Paesi dove è presente da anni nonostante l’ammutinamento di Prigozhin. In Mali, le Nazioni Unite votano la fine della missione Minusma, lasciando un altro Paese in preda al caos o all’influenza russa. Il Sudan è in guerra civile. Mentre varie potenze, tra cui Turchia, monarchie del Golfo, e Cina, hanno già messo più di un piede in quei territori. Il nodo Tunisia – con le trattative per i fondi impantanate sulla sfida europea tra chi pretende riforme prima di dare sostegno e chi preferisce una via intermedia – non si è ancora sciolto.

La speranza è che la prossima settimana si arrivi a una soluzione. Ma la partita non è solo tra Tunisi e Bruxelles, ma anche all’interno delle stesse istituzioni europee e del Fondo monetario internazionale. In attesa di capire come andrà a finire il negoziato, il presidente Kais Saied invoca un giro di vite contro l’immigrazione dall’Africa subsahariana: la stessa che poi si proietta verso l’Europa. Infine, il Consiglio Ue deve fare i conti con un altro grande punto interrogativo del futuro europeo: la Cina. “Politico” ha lasciato intendere come da più parti sia giunto l’ordine di evitare fratture con Pechino in Consiglio. Il tour del premier Li Qiang in Europa ha fatto sì che i toni si smorzassero, ribadendo di fatto il peso degli investimenti cinesi.

Ma soprattutto, molti a Bruxelles temono che l’intransigenza con la Cina non possa concretizzarsi quando il decoupling viene escluso anche dagli Usa e si contano ancora gli effetti dello sganciamento dalla sola dipendenza energetica con Mosca. A livello tecnologico e commerciale, Pechino è un partner fondamentale per molti Paesi. Il Consiglio deve dunque mediare tra le esigenze “occidentali” e di molti Stati membri.

Lorenzo Vita

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