La crisi di governo
Conte strappa il sì alla Camera, al Senato numeri in bilico tra i 152 e i 155 voti: premier sempre più debole
Giuseppe Conte va avanti con un governo di “volenterosi” di centro. Quanto possa durare non si sa. Però va avanti e oggi, dopo il voto del Senato, capiremo anche come. Ieri alla Camera ha ottenuto 321 Sì e 259 No su 580 votanti, sei voti in più del battage al ribasso fatto circolare tutto il giorno da Pd e 5Stelle. Italia viva ha tenuto sull’astensione al netto dei due deputati Rostan e De Filippo che hanno subito lasciato la barca terrorizzati all’idea di un voto anticipato. Ma nella lunga giornata a Montecitorio si percepiscono malumori e tensioni che dicono come questa crisi, al di là dei numeri con cui sarà chiusa, non rafforza ma indebolisce la leadership di Giuseppe Conte.
Gli appelli, il grido “aiutateci” ripetuto due volte, le promesse rinnovate su progetti finora non mantenuti, la pandemia trasformata in alibi e che non è mai, finora almeno, diventata una sfida a fare di più e meglio, a cambiare e migliorare, sono parole risuonate stanche e vuote. Poco credibili. Ha premiato certamente il terrore del voto anticipato, “il virus della poltrona contro cui non hanno ancora trovato il vaccino” come ha detto la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni. E il rischio, forte, di consegnare l’Italia alle destre più che al centrodestra. Conte è stato favorito dall’eterno congresso del Pd dove la voglia di far fuori Renzi ha prevalso su chi, sempre nel Pd e specie in Base Riformista, ne aveva condiviso le critiche, i motivi e le ragioni. E anche dal “congresso” del Movimento 5 Stelle dove per tutta la giornata si sono registrati dubbi e malumori sul ruolo di Conte e sul suo intervento dove la logica dei numeri ha prevalso sulle ragioni della politica.
Se Conte immaginava un replay del 26 agosto 2019 quando umiliò Matteo Salvini spostandolo dal banco del governo ai banchi della Lega, ieri il premier ha vissuto un film diverso. Non solo perché Iv ha fatto dimettere i suoi ministri, cosa che Salvini non ebbe il coraggio di fare. Ma perché la fiducia al Conte 2-bis ha i tempi stretti dell’ultima prova di appello. «Renzi ha solo sbagliato i tempi – ragionavano ieri nella pausa dell’aula prima della replica e delle dichiarazioni di voto alcuni deputati delle opposizioni e di maggioranza – quando si avvicinerà il semestre bianco, o arriva la svolta che promette oppure per lui sarà finita l’avventura a palazzo Chigi».
Conte infatti vuole andare avanti con quello che gli osservatori chiamano un Conte 2-bis, ovverosia senza dimettersi e con un piccolo rimpasto. I volenterosi al posto dei renziani. Magari il ministro dell’Interno Lamorgese “spostata” all’intelligence per lasciare il Viminale a un Pd di peso, ad esempio Andrea Orlando. Per il resto non cambierà nulla nella squadra di governo. E questo non piace al Pd e al suo segretario che invece hanno sempre puntato ad un Conte ter con massima discontinuità nelle persone e nei programmi. «Dopo il voto alle Camere è necessario fare un passo ulteriore» ha detto Zingaretti. «Servono una maggioranza e un programma condiviso. È chiaro che è una strada stretta e non accetteremo tutto». La domanda è fino a che punto Renzi ha fatto di testa sua o il Pd ha girato le spalle al leader di Iv.
Dei 55 minuti di intervento di Conte, quelli che contano sono gli ultimi dieci. Con quell’appello “aiutateci” rivolto ad ognuno e ciascuno che in questo Parlamento può dare voti e quindi sostegno al suo governo, «europeisti, liberali, popolari, socialisti, minoranze linguistiche». Né costruttori né responsabili, bensì “volonterosi” come già li chiamò Berlusconi nel 1994. Un ammiccamento ai deputati di Forza Italia che ha fatto storcere la bocca a due big come Tajani e Ronzulli: «Senza ritegno».
È in quei dieci minuti finali che Conte ha messo in chiaro, in modo trasparente va detto, parlando agli italiani che lo ascoltavano da casa più che ai 607 deputati presenti a Montecitorio, il suo progetto politico: andare avanti, senza dimissioni, con un Conte 2-bis allargato al centro e ai nuovi “costruttori”, un tempo assai recente bollati come voltagabbana. Il “suo” centro che ha già una casa – il partito Insieme – le cui porte però non possono ancora essere spalancate fisicamente per questioni di opportunità politica (finché è premier non può farlo) ma di cui il Presidente Conte ha certamente spiegato le potenzialità nei tanti incontri e contatti avuti in queste settimane. Ancora ieri mattina, prima del discorso alla Camera, Conte e Di Maio hanno ricevuto a palazzo Chigi una ventina di ex 5 Stelle per vari motivi cacciati e allontanati dal gruppo parlamentare per spiegare loro «i buoni motivi per rinnovare la fiducia a Conte». È una trattativa laterale che porta qualche buon frutto visto che tre di loro – Ermellino, Fioramonti e Colletti che ancora è nel gruppo nonostante varie e numerose diffide – hanno poi votato la fiducia. «Manca qualità nella squadra di governo e anche questa nuova avventura fallirà perché la crisi è nel movimento» ha attaccato Colletti. Per poi, però, dare anche la sua fiducia.
Dopo aver elencato le cose fatte, rivendicando meriti successi e mettendo in fila quello che sarà «il programma del nuovo patto di legislatura» che in realtà attende di essere realizzato dall’autunno, Conte nell’intervento certifica e promette che «adesso si volta pagina perché il Paese merita un governo che lavora». Per farlo chiede i voti a chi è interessato e ci sta e promette qualche posto di governo o nelle infinite opportunità che si aprono nelle prossime settimane tra nomine incarichi vari. L’identikit del novello “volenteroso” comprende «chi vuole modernizzare le strutture e le infrastrutture del paese», chi ha «idee e progetti per contribuire a questa prospettiva». La nuova squadra di governo, assicura, «ha già una solida base di dialogo tra Pd, 5 Stelle e Leu» e per darle «maggior appoggio e sostegno» vanno bene «europeisti, liberali, popolari, socialisti, enclave linguistiche». Rassicura tutti Conte. Promette quello che ha: i due ministeri e il posto da sottosegretario lasciati liberi da Italia viva e la tanto discussa delega all’intelligence che Renzi contesta da mesi. Con qualche ragione, quindi. E promette anche quello che non ha: una legge elettorale di tipo “proporzionale” come da tempo gli chiede il Pd ma che però non è nelle disponibilità del Presidente del Consiglio bensì del Parlamento. Alla fine conclude con “W l’Italia”.Ignorato Matteo Renzi che lo ha portato in aula a dover spiegare una crisi «di cui non ravviso alcun plausibile fondamento».
Italia viva è appena nominata in 50 minuti di intervento. E quando lo fa, arriva il rumore secco e perentorio di una porta chiusa in faccia. «Restano senza spiegazione alcuni attacchi scomposti, pretestuosi e ogni volta reiterati di Italia viva nonostante il miglioramento della bozza del Recovery plan». Eppure Italia viva lascia fino in fondo la porta aperta cercando di spiegare i veri motivi di una crisi «che non si manifesta ma consuma l’azione di governo ormai da mesi». Prima ci prova l’ex sottosegretario Ivan Scalfarotto. «Se c’è da creare un governo migliore, noi non abbiamo nessuna pregiudiziale sui nomi. Ma chiediamo di muoversi, di darci risposte, una visione, una direzione, una strategia. Se questo c’è, noi ci siamo». Poi tenta di nuovo Ettore Rosato, il presidente di Italia viva. «Il problema sono le cose che non funzionano, e sono tante e non si risolvono con un partner in più o in meno nella maggioranza, non serve il tatticismo. Sta a voi capire se da una crisi si esce in maniera più forte o più debole».
I motivi della crisi emergono invece in modo assai chiaro nel dibattito e nelle dichiarazioni di voto. Dai banchi delle opposizioni e anche di qualche 5 Stelle. Giorgia Meloni lo chiama sempre “avvocato Conte”, un “Barbapapà che fa Barbatrucchi”: «Lei è stato prima populista, poi ortodosso europeista, prima di destra, poi di sinistra poi di centro, ma anche socialista e liberale. Prima a favore e poi contro l’immigrazione illegale, la Tav, quota 100… prima amico e poi nemico di Salvini, ma anche di Renzi e pure Di Maio. Qualsiasi cosa pur di rimanere dov’è». Il capogruppo della Lega parla di «spettacolo immondo con Mastella talent scout». I cori in aula chiedono le dimissioni di Conte. Chiedono che la crisi passi dal Quirinale e dalle valutazioni del Capo dello Stato. Dipende tutto, molto, da quello che succederà oggi al Senato. Il pallottoliere è fermo tra i 152 e i 155 voti a favore del premier. Lontani dalla maggioranza assoluta che però non è necessaria. Basta un voto in più. Motivo per cui Conte non è obbligato a passare dal Quirinale. «Oggi non ci siamo impegnati, domani è un altro giorno» promettono dalla Lega. Ci potrebbero esser altri cambi in corsa. Ieri Renata Polverini ha votato la fiducia in dissenso da Forza Italia e ha lasciato dopo un lungo tormento Berlusconi. Oggi al Senato il socialista Riccardo Nencini potrebbe lasciare Iv. Di sicuro il Conte 2-bis da mercoledì deve cominciare a reclutare nuove forze in Parlamento. Con quelle attuali dura meno di un mese.
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