C’è un nuovo “gioco” nei corridoi del Parlamento: «A quando il nuovo Dpcm ancora più duro? Nel fine settimana, al massimo tra dieci giorni. Altro che soffrire adesso per sperare in un sereno Natale…». Deputati e senatori incrociano informazioni riservate, captate nei vari colloqui, con gli scenari diffusi dall’Istituto superiore di Sanità, sono quattro, dal più funesto al più roseo, e variano a seconda dei modelli matematici e le relative curve. Se siamo già nello scenario “Tipo 3”, le curve si avvicinano in modo preoccupante al “Tipo 4”. Cioè un nuovo lockdown. I social fanno la loro parte mettendo in giro i meme con la scritta “Cape-down”. Il consigliere per il ministro della sanità Walter Ricciardi ha già sentenziato: «Napoli e Milano devono chiudere». A palazzo Chigi non l’hanno presa bene. Il premier non ne ha parlato con nessuno. Continua a dire, «facciamo i sacrifici ora per scongiurare altro dopo» e nega la possibilità che si vada a un nuovo lockdown: «sono false voci». Ma le sue parole non sono più così affidabili. E anche la retorica, in genere brillante, tradisce stanchezza e preoccupazione.

Ieri il premier ha affrontato “il premiertime”, ovverosia il question time d’aula riservato però al Presidente del Consiglio. È stata la prima occasione per discutere in Parlamento sull’ultimo Dpcm e le contestatissime chiusure di tutto ciò che è tempo libero, dallo sport alla cultura, dalle piscine ai cinema, passando per bar, ristoranti e gelaterie. E Conte ha capito che il bunker in cui si ritrova da domenica sera non è il risultato dei distinguo di Italia viva, forza di maggioranza, delle solite opposizioni e delle categorie commerciali di nuovo alle prese con indennizzi e chiusure. Tutti i gruppi parlamentari della maggioranza hanno chiesto conto al premier delle misure decise avvisandolo che «questa volta il paese e il governo hanno una percezione assai diversa della situazione». E che, «se questa forbice si allarga troppo, poi non si recupera più».

Prima il vertice di maggioranza che Conte aveva convocato nella tarda sera di martedì e proseguito fino all’una di notte. Poi il question time di ieri pomeriggio alla Camera. Magari il bunker è diventato un castello fortificato, anche dal Quirinale, sebbene sotto assedio di opposizioni, categorie commerciali, nuovi poveri, il virus vero e quello della protesta che circola nelle piazze di tutta Italia. In ogni caso la posizione del premier resta scomoda e in bilico. Tutto dipende da due date: venerdì 30 ottobre, quando i report settimanali del contagio diranno se le prime misure, quelle del 13 ottobre, hanno o meno rallentato la curva dei contagi. Se la diga del 30 ottobre reggerà, sarà un’ottima notizia. Se invece dovesse scricchiolare, come molti temono, allora saranno decisivi i dati del 6 novembre per capire se e come potremo vivere il Natale. Incrociando le dita per quello che riguarda l’influenza.

I conti nel recinto della maggioranza sono state regolati nella notte, “nello spogliatoio della squadra” sottolinea uno dei capigruppo criticando Italia viva «non per i problemi che ha sollevato ma per il modo in cui lo ha fatto». Va detto che senza le enews di Renzi, la resistenza di Bellanova e il pressing di Rosato («diteci su quali basi avete deciso queste chiusure e perché non sono state fatte altre cose, dalla sanità al trasporto pubblico») Conte non avrebbe convocato il vertice con i capigruppo di maggioranza . E se il premier si è collegato – l’incontro è stato tramite call – convinto di dare le carte, dopo poco si è accordo che avrebbe dovuto ascoltare. «Intanto verbalizziamo, così non si potrà dire che i presenti non hanno fatto richieste specifiche come si è cercato di raccontare in relazione alle riunioni dello scorso fine settimana» ha iniziato Maria Elena Boschi ancora avvelenata per l’accusa reiterata di Conte e Zingaretti a Italia viva che avrebbe taciuto la sera e organizzato il dissenso la mattina dopo.

La sintesi finale ha soddisfatto tutti, a cominciare da Italia viva. «Nel vertice di ieri sera – ha raccontato Davide Faraone, capogruppo di Iv- sono decise due cose: la proposta di Conte di verificare tra quindici giorni gli effetti del Dpcm; si anticipa il tavolo politico rinviato a dopo gli Stati generali dei 5 Stelle in modo che si capisca quale sarà il programma di questo governo». Il fatto è che dopo Boschi, Conte si è trovato a che fare con i rilievi critici del capogruppo Pd Graziano Delrio («non ci puoi dire che è stato fatto tutto bene») e anche dei 5 Stelle che hanno messo in fila domande sul fallimento del trasporto pubblico locale e del sistema sanitario arrivato ancora una volta impreparato all’appuntamento con la seconda annunciatissima ondata.

Schema analogo si è ripetuto ieri pomeriggio nell’aula della Camera durante il question time. Paita (Iv presidente Commissione Trasporti) ha chiesto conto del perché non ci sono stati interventi sul Trasporto pubblico locale e perché nel decreto Ristori non si parli affatto di questo che «è e resta il problema». Il Pd ha auspicato «misure condivise» e «massima attenzione a tutte le filiere, a partire da quelle più fragili» perché il rischio forte è che «si rompa il senso di comunità». Persino i 5 Stelle si sono raccomandati che i cosiddetti “ristori” arrivino presto e in misura adeguata diversamente da quello che è successo nella Fase 1 della pandemia. E al di là delle rivendicazioni di Lega e Fratelli d’Italia («dateci i numeri e i verbali in base ai quali assumete le decisioni, soprattutto la smetta Presidente di venire a spiegare quando è già stato tutto deciso»), fanno male la parole di Forza Italia.

«Questo governo ha esaurito la sua residua credibilità – ha accusato Valentino Valentini – Le persone, le categorie produttive non si fidano più. Cosa è stato fatto per la scuola, per i trasporti, per i tamponi e il tracciamento? Nulla». Anche il nuovo Dpcm non prevede interventi strutturali (ad esempio la riorganizzazione degli orari della città). E il decreto Ristori rischia di essere l’ennesima spesa utile sul momento ma inutile in prospettiva. Forse anche per questo il premier, oggi di nuovo in aula per le previste comunicazioni sul Dpcm, ha evitato che il Parlamento votasse.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.