L’inquietante successo del concorso per l’introduzione nel nostro sistema giudiziario dell’ufficio del processo meritano la narrazione di una storia purtroppo dolorosamente vera. Tempo fa una collega mi chiese di sostituirla in un’udienza di un grave processo per violazione legge droga innanzi a una grossa sede giudiziaria del nord Italia. Io prima dell’esplosione del Covid amavo andare in giro e quindi accettai di buon grado e, forte della sola delega e del decreto che dispone il giudizio, mi apprestai a presentarmi in aula. In altri termini non sapevo nulla del processo se non le accuse rivolte al mio rappresentato, che era uno dei pochissimi che non aveva definito il processo nelle forme del giudizio abbreviato riportando, come avrei appreso successivamente, pesanti condanne a pene detentive.

Leggendo l’unico atto a mia disposizione, la prima cosa che mi colpì fu l’epoca della contestazione che risaliva, come spessissimo accade, a molti anni orsono. Di notte, in albergo, mi misi a fare un po’ di calcoli e mi convinsi che il processo fosse tutto prescritto da tempo. Va detto che nel nostro sistema le leggi cambiano con una rapidità vorticosa e che comunque vige il principio della legge più favorevole, in altri termini allorché vi sia un avvicendamento di norme nel tempo andrà applicata la normativa più favorevole all’imputato. Ciò detto, devo aggiungere che una delle norme che negli ultimi anni è cambiata più spesso è proprio quella sulla prescrizione e, applicando la legge più favorevole all’imputato, a me sembrò evidente che il processo fosse ormai tutto prescritto. Il giorno dopo mi presentai in udienza ed esposi la mia teoria ad un gentilissimo pm della locale Direzione distrettuale antimafia che lì per lì mi prese per un visionario. Io, garbatamente, insistetti sotto lo sguardo incuriosito e perplesso del collegio cui non era sfuggita una certa agitazione.

Nelle more un ingrisagliattissimo difensore di ufficio, cui mi ero sostituito e che ancora non riusciva assolutamente a capire neppure cosa stessimo dicendo, si aggirava nervosamente intorno a noi dicendo al pm con tono supplichevole: «E ma sa… io glielo avevo detto di fare l’abbreviato, avevo insistito in tutti i modi, ma lui niente: è un ostinato, non mi ha dato retta, è un pazzo». A questo punto il pm, incurante dei miagolii disperati del collega, si mise a leggere gli atti che aveva salvato sul pc e a saltare da una pagina all’altra del codice. «Avvocato, ma non è possibile! Gli altri hanno fatto l’abbreviato ed ora sono tutti in carcere ma come si fa, ma come faccio, come faccio?». Ed io le dissi sollevandola: «Dottoressa, lei fa il pm non l’avvocato e non è responsabile di eventuali errori delle altre parti; se nessuno sino ad ora se ne è accorto non è certamente colpa sua». Queste considerazioni la risollevarono un pochino.

Finalmente il Tribunale mi diede la parola, esposi le mie opinioni – che a dire il vero a me parevano anche piuttosto banali-, il processo venne sospeso per la pausa pranzo e nel frattempo ebbi la netta sensazione che in qualche modo il Tribunale e il pm avessero comunicato e si fossero convinti che avevo ragione. Passò qualche ora e al ritorno in aula il collegio uscì sorridente e lesse il dispositivo: «Il Tribunale dichiara il reato estinto per intervenuta prescrizione». Insomma vittoria su tutta la linea. Racconto questa storia assolutamente vera, che mi sono tenuto per me per diversi anni, non per autocelebrarmi o per ricavare un’inutile fama di fine carriera, ma per dimostrare come stanno effettivamente le cose.

Un fatto è certo: nel nostro Paese molto probabilmente sono ancora detenute, a nostre spese, alcune di quelle persone coimputate con il mio ex cliente che sicuramente non ha compreso né mai comprenderà il terribile rischio che ha corso, la fortuna che ha avuto e dalla cui assoluzione non ho ricavato assolutamente nulla. Dico questo per spiegare ai miei eventuali lettori che almeno due pubblici ministeri non di prima nomina (perché quelli di prima nomina non vanno alla Dda), il gup, tre giudici del Tribunale ed un numero imprecisato di avvocati che difendevano i coimputati non si sono mai accorti che stavano trascinando da anni un processo morto e sepolto da tempo. Una volta raccontai a un magistrato napoletano questa vicenda e lei candidamente rispose: «Da noi questo non succede, noi la prima cosa che ci andiamo sempre a guardare è questa». Sarà, pensai io, ma non le dissi che le ultime due sentenze di annullamento che ho avuto in Cassazione erano proprio per errori sulla prescrizione.

Ora, se nessuno si era accorto di un fatto che una volta spiegato con il cucchiaino diventava banale, dovete dirmi come possono 10.000 giovinotti di prima nomina dell’età minima di diciotto anni e senza alcuna esperienza processuale aiutare ragionevolmente a smaltire gli arretrati che si sono via via accumulati negli anni. Questi giovinotti, una volta in servizio, rappresenteranno un vero pericolo sociale e allora aveva ragione il magistrato napoletano di cui sopra quando diceva che la giustizia da noi è solo un ammortizzatore sociale. Sì , è vero, è solo un pericolosissimo ammortizzatore sociale, in questo almeno siamo d’accordo. Tutto sta a non incapparci dentro.