Non era mai successo – almeno a mia memoria – che i grandi giornali decidessero di ignorare uno scandalo politico nazionale. Parlo di magistratopoli, forse il più clamoroso scandalo degli ultimi 30 anni. Sono abbastanza vecchio per ricordare persino i piccoli scandali pre-tangentopoli, che poi finivano tutti in una bolla di sapone ma tenevano banco sui giornali. Mi ricordo di uno scandalo del 1963 che si chiamava lo scandalo delle banane. Bustarelle per pilotare delle aste, perché sulle banane allora c’era il monopolio. Erano coinvolti alcuni alti funzionari e un ministro, che si chiamava Trabucchi. Io ero ragazzino, andavo alle medie, ma me lo ricordo bene quello scandalo perché i giornali non parlavano d’altro. E poi i vari scandali petroli, la Lockheed, per non dire di Tangentopoli e delle mitragliate di scandali degli anni successivi.

Come si può spiegare la clamorosa circostanza del totale silenzio dei grandi giornali su magsitratopoli? Non avrei mai pensato che potesse succedere una cosa del genere, sebbene conosca da molto tempo la sudditanza dei giornali alla magistratura. Ma anche nei primi anni Novanta esisteva una discreta sudditanza dei grandi giornali nei confronti della politica e del governo, eppure dall’arresto di Mario Chiesa in poi la stampa iniziò a sparare a palle incatenate contro la politica corrotta, e non si fece sfuggire neppure un fiato di Pm su quell’inchiesta.

Oggi ci troviamo in una situazione del tutto inedita e che nessuna persona più giovane di ottant’anni ricorda: la libertà di stampa è sospesa. Proprio come ai tempi del fascismo. Non c’è nessuna forzatura polemica in questa affermazione: se tutti i grandi giornali ignorano magistratopoli, se non forniscono informazioni, se non pubblicano articoli, notizie, interviste, approfondimenti, su una vicenda che ha dimostrato che una grande parte della magistratura italiana è illegale, e che sono illegali i suoi vertici, non c’è nulla di esagerato nel parlare di sospensione della libertà di stampa.
Il Paese sta affrontando questo scandalo che mette in discussione la struttura della sua democrazia e l’affidabilità dello Stato, in una condizione di estrema debolezza che non conosceva. Tipica degli stati totalitari ma finora del tutto sconosciuta nei Paesi a democrazia politica.

Prendiamo solo i quattro giornali più importanti. Il Fatto Quotidiano, che oggi è considerato l’organo non solo della magistratura ma anche del governo, e poi Repubblica, Il Corriere della Sera e la Stampa. Non esiste nessuna spiegazione plausibile, di tipo professionale, al loro silenzio. Oltretutto sono giornali che son stati sempre molto generosi, con i loro lettori, nell’offrire intercettazioni anche semplicemente di pettegolezzo. Per pubblicarle, spesso, hanno disinvoltamente violato la legge. Come si spiega che oggi non esca più un rigo sulle intercettazioni del Palamara-gate e sul verminaio che stanno svelando (la parola “verminaio” l’ha usata recentemente un ex valoroso magistrato come Giuseppe Ayala)?

C’è un vecchio detto latino, usato anche in giurisprudenza: “Simul stabunt vel simul cadent”. Vuol dire che o resisteranno insieme o cadranno insieme. Probabilmente è un detto che si addice molto al rapporto che c’è oggi tra magistratura e grande stampa: la consapevolezza che se una delle due cede, travolge anche l’altra. Da qui nasce un rapporto di complicità, assolutamente omertosa, che rischia di travolgere la nostra democrazia. L’allarme è grandissimo. Non c’è nessun dubbio sul fatto che l’omertà dei grandi giornali non è casuale ma è governata. Questo determina un vuoto che non era prevedibile nel sistema delle nostre libertà. Chi può intervenire? L’ordine dei giornalisti e le associazioni sindacali di categoria sembrano paralizzati. Una quindicina di giorni fa, sul nostro giornale, intervistammo il presidente dell’Ordine, che promise accertamenti. Poi il silenzio.

Il sindacato dei giornalisti? Non pervenuto. Gli editori? Anche loro forse rispondono a ordini superiori e probabilmente a loro va bene non inimicarsi la magistratura. Chi può reagire? La Politica forse potrebbe. Ma la politica sta vivendo questo terremoto rincantucciata, è stata messa all’angolo ormai 25 anni fa dalla magistratura e ora non ha neanche il coraggio di tirar su la testa per sbirciare. Bisogna prendere atto di questo stato di cose. Sapere che siamo rimasti pochi pochi a difendere la democrazia e la legalità. E non farsi impaurire. Provare a non farsi impaurire.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.