"La Meloni? Non farà nulla di antimeridionale"
“Da de Magistris a Conte, Napoli esalta i populisti: ma il reddito non va abolito. De Luca complice del Pd”, intervista a Paolo Macry
Lo storico Paolo Macry, tra i più autorevoli osservatori delle dinamiche della città, commenta con il Riformista l’esito delle elezioni dello scorso 25 settembre.
Professore, partiamo da De Luca che ha parlato di “Sud scomparso da anni dagli orizzonti del Pd” e che “parla una lingua morta”…
«Certo è singolare che queste affermazioni le faccia uno dei responsabili della crisi profonda della politica cittadina e regionale. Il suo ruolo da governatore è finito per trasformarsi in un regno autonomo e i rapporti con il Nazareno non sono mai stati buoni. È davvero singolare che De Luca, un autocrate, si stupisca della condizione attuale del Pd. A Napoli e in Campania la sinistra è in coma profondo da tempo, un coma che non nasce con De Luca ma il governatore, inevitabilmente, ci ha messo del suo in tutti questi anni».
A Napoli, così come nel 2018, ha trionfato il Movimento 5 Stelle. In molti quartieri periferici, dove i percettori del reddito sono tantissimi, Conte ha raggiunto percentuali bulgare.
«È un risultato abbastanza sconfortante ma va detto che non ci possiamo accorgere oggi di un trend che va avanti da anni. Napoli ha inventato il populismo con de Magistris, eletto e rieletto dai cittadini senza tener conto dell’inefficienza amministrativa, poi con De Luca e infine con Conte che in città ha raggiunto percentuali altissime per due motivi».
Prego.
«Innanzitutto le fasce povere della popolazione hanno votato perché percettori del reddito, promesso e garantito all’epoca dal Movimento. Poi diciamo la verità, l’offerta politica presentata dagli altri partiti, a partire dal Pd, è stata davvero scadente. C’è poi da aggiungere un altro aspetto: a prescindere dai candidati paracadutati qui come in tutta Italia, gli elettori hanno scelto il partito e non il singolo esponente. Una caratteristica delle elezioni politiche e del problema, soprattutto al Sud, del mancato rapporto elettore-eletti».
I 5 Stelle erano dati per morti. Come legge la rimonta di Conte che, a differenza dalla vittoria di Meloni annunciata da tempo, è forse la vera sorpresa di queste elezioni.
«È frutto della crisi cronica della sinistra che vive di ideologismo e clientelismo. Ci possono essere guerre, crisi, inflazione e così via ma poi arriva Conte a Napoli e viene votato nonostante sia stato al governo per l’intera legislatura. La sua rimonta porta a una riflessione: è il leader politico che si è esercitato nel trasformismo più surreale. Si è alleato con tutti e ha cambiato idea su tutto. A mio avviso i 5 Stelle restano un grosso problema per questo Paese».
Il Patto per Napoli e i fondi del Pnrr al Sud sono a rischio con Meloni al Governo?
«Non credo. Per necessità e per virtù non farà nulla di antimeridionale, non ne ha motivo. Credo invece che il nuovo ministro del Mezzogiorno proseguirà l’ottimo lavoro fatto da Mara Carfagna».
Cosa pensa della retorica “reddito di cittadinanza uguale voto di scambio”?
«Il reddito come parola d’ordine ha funzionato. C’è uno schema emblematico pubblicato dal Sole 24 Ore: la curva dei voti dei 5 Stelle raccolti in tutta Italia è esattamente la stessa delle zone dove si percepisce il sussidio. Quindi al Sud il botto era inevitabile. Spero che non ci sia nessuno che metta in dubbio l’assistenza alle fasce deboli della popolazione. Il reddito è giusto, ha solo bisogno di correttivi e su questo mi pare che anche la Meloni sia concorde».
L’astensionismo chi ha favorito?
«Al Sud i 5 Stelle. È un dato drammatico quello dell’astensione, soprattutto oggi che viviamo una situazione di crisi a livello mondiale. C’erano mille motivi per andare al seggio».
Il futuro politico di de Magistris e di Maio dopo la batosta elettorale?
«Per l’ex sindaco credo si tratti della chiusura di un ciclo politico. Non ha più prospettive. Lo stesso vale anche per Di Maio anche se ha pagato il poco tempo a disposizione avuto per costruire il nuovo partito. È stato decapitato dalla precoce crisi di governo voluta da Conte proprio per evitare che prendesse forma il suo nuovo progetto politico. Di Maio ha pagato la sua posizione filo-draghiana. Diciamo che Draghi non ha portato bene a nessuno».
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