Ieri e l’altro ieri ho letto i giornali, sul caso Lucano e sul caso Morisi (poi, domani, li leggerò anche sul caso Fidanza) e mi sono fatto quest’idea: se chiedo a tutti i garantisti italiani di farmi un colpo di telefono, ci potremmo mettere d’accordo per organizzare una cena a casa mia. Io preparo un primo e compro la mozzarella, chiedo a Luigi Manconi di portare un secondo preso in rosticceria, a Peppino Di Lello di prendere qualche bottiglia di Donnafugata, e magari ad Alemanno se viene con un gelato. Al mio editore invece chiederò una cofana di friarielli. Ho una terrazza. Piccola piccola, ma penso che ci entriamo.

Prima, forse, devo spiegare bene cosa intendo per garantista, se no finisce che arrivano un sacco di imbucati. In Italia, se levi l’onesto Travaglio, tutti dicono di essere garantisti. Poi però si scopre che non è esattamente così. Allora vi spiego: per garantista intendo quella persona che si rifiuta di linciare un indiziato, o un imputato, e magari persino un condannato, a prescindere dalle posizioni politiche. Ripeto: a prescindere dalle posizioni politiche. Per garantista intendo una persona che non esalta i magistrati che condannano i suoi nemici, o quelli che ritiene suoi nemici, e poi sputa fuoco sui magistrati che se la prendono con uno della sua parte politica. Che non si indigna per un reato il lunedì e il giovedì nega che quello sia un reato. Per capirci: per garantista intendo chi non ha messo alla gogna Morisi, chi si è pronunciato contro l’autorizzazione a procedere per Salvini (reato anti immigrati) e chi si è indignato per la condanna mostruosa inflitta a Mimmo Lucano (reato pro immigrati).

Addirittura mi spingo a chiedere un qualche dissenso sulla richiesta di cattura e di estradizione da Parigi di ex esponenti della lotta armata che dovrebbero scontare varie pene per delitti commessi, forse, 30 anni fa, alcuni dei quali sono solo reati associativi. Per garantista intendo chi è stato sempre dalla parte di Falcone, e non dei nemici di Falcone, cioè di quelli che dopo la sua morte hanno tentato di processarlo per interposta persona, mettendo alla sbarra il suo braccio destro, cioè Mori. Intendo per garantista chi si è indignato perché i giudici di sorveglianza hanno messo in prigione, privandolo della semilibertà, il terrorista fascista Mario Tuti, che ha già scontato quasi mezzo secolo di carcere, e chi chiede la liberazione definitiva di Mario Moretti, capo delle Br, che è detenuto da 40 anni esatti (catturato nel 1981). Il garantista, per me, difende i diritti di Dell’Utri, condannato ingiustamente, ingiustamente messo alla gogna, e giustamente assolto a Palermo. I diritti (e l’innocenza) di Dell’Utri, e quelli dei rom, e quelli dei ragazzini che fanno il piccolo spaccio.

Soprattutto, quando dico garantisti, intendo quelli che quando sentono che un giudice ha ordinato la perizia psichiatrica per Berlusconi, allo scopo di vessarlo e umiliarlo, nel corso del novantesimo processo intentato contro di lui (dei quali 89 andati buca, e uno solo, per evasione fiscale della sua azienda, concluso con una condanna, peraltro ingiusta), saltano su e dicono: giudici, ora basta. Per garantisti, infine, intendo quelli che considerano che lo strapotere della magistratura nella società italiana sia un vulnus gravissimo allo Stato di diritto, e che la magistratura vada disarmata e costretta a tornare ad operare dentro dei parametri di civiltà di democrazia e di diritto. Io penso che sia garantista chi rientra in tutti i parametri di questo breve elenco. Non solo in alcuni. Forse, dopo aver letto questa premessa all’invito a cena, avrete anche capito perché la mia idea di ospitare tutti i garantisti sul mio terrazzino, non è un’idea balzana: nel mio piccolo terrazzo, magari in piedi, c’entrano tutti. Penso che ci sarà modo anche di sederci intorno al tavolo.

Naturalmente inviterò anche Berlusconi, a questa cena, anche se temo che la cosa, di per sé, possa costituire reato. Però gli raccomanderò di non portare niente. Meglio: niente né nessuno. Sono stato sempre pessimista sull’esistenza in Italia di una robusta minoranza di garantisti. ma negli ultimi giorni ho raggiunto la certezza che questa minoranza robusta non esiste. I garantisti nel nostro paese sono poche decine. Non sono una corrente di idee, sono un drappello quasi clandestino. La furia selvaggia con cui la sinistra e il gruppo reazionario dei 5 stelle si son gettati su Luca Morisi, colpevole di assolutamente niente tranne che di delitti contro la morale bigotta, e la rabbia con la quale il giorno dopo la destra (compresi i travaglini, appena un po’ più sobriamente) si è scagliata contro Mimmo Lucano, mi ha fatto perdere tutte le speranze. E soprattutto ho capito che non esiste nessuna possibilità di riformare la giustizia, in Italia. Perché? Per la semplice ragione che esiste un nucleo forte di magistrati (non la totalità ma, credo, la maggioranza) che si fa forte della fragilità e dell’ondeggiamento della politica e dell’opinione pubblica.

Il problema non è l’ideologia forcaiola – quella di Travaglio, o di Davigo o di Di Battista o di qualche altro – che ha pieno diritto ad esistere e che probabilmente, nella sua purezza, è ampiamente minoritaria. Il problema è proprio il cosiddetto garantismo a dondolo. Sentire ieri le dichiarazioni, e leggere gli articoli, dei presunti garantisti di destra, avvelenati contro Lucano e schierati a petto nudo a difendere un processo evidentemente e squisitamente politico, come non se ne vedevano da quarant’anni – dal caso Dolci, o dal caso Sifar o dal caso Braibanti: chissà se qualcuno se li ricorda – e vederli fare scudo con i loro corpi contro chi provava a criticare i magistrati della Locride, è stato uno di quei fenomeni che davvero mi ha gettato nella disperazione e fatto capire che non ho speranze. Così come oggi mi lascia basito la polemica contro Fratelli d’Italia: ladri, ladri… Possibile che intellettuali, giornalisti, politici – figli o nipoti dei grandi: di De Gasperi, e Moro, e Ingrao, e Amendola e Nenni, e Montanelli, Scalfari, Fortebraccio, Pintor – riescano a costruire una idea solo dentro la categoria del ladro sì, ladro no? neanche un centimetro più in alto riescono ad andare? Questa vi sembra politica? A me sembra un gioco di società per aspiranti guardie. Che poi, certo, se tocchi uno della loro parte politica scattano a difesa del diritto. Ma male, perché non lo conoscono, non lo capiscono, neanche riescono a vederlo.

Il caso Lucano è clamoroso perché è il processo più “puramente” politico dalla caduta del fascismo. Forse lo supererà il processo a Salvini, costruito su tesi opposte. Il caso Morisi invece assomiglia tremendamente al caso Montesi, 1953. Allora accusarono un ragazzo innocente di avere partecipato a un festino, e dissero che durante questo festino era morta una ragazza, una certa Wilma Montesi. Lo fecero per la semplice ragione che questo ragazzo era il figlio di Attilio Piccioni, cioè dell’erede di De Gasperi. La campagna contro il povero Piero Piccioni la condussero i giornali del Pci, ma il vero committente era la sinistra Dc. Che spianò Piccioni e conquistò il partito. Da allora i partiti fecero un patto: mai più sesso e droga nella polemica politica. Ha retto mezzo secolo, ora il patto è sciolto e si torna alla guerra per bande.

P.S. Naturalmente è invitata a cena anche la nostra piccola redazione. In particolare Tiziana, che potrebbe portare da Milano una pentolata di risotto giallo. Con l’ossobuco.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.