La fine di Craxi e il potere dei pm
Dal lancio delle monetine all’Hotel Raphael al potere dei Pm: Filippo Facci e il suo 30 aprile 1993
«Il linciaggio di un uomo politico come Bettino Craxi suonò da autoassoluzione di massa per milioni di mandanti che per generazioni avevano potuto votare, accettare, legittimare e che ora volevano bruciare anche i loro vizi nazionali le elargizioni a pioggia il debito morale e pubblico poi attribuito a Craxi e insomma ciò che l’Italietta aveva accumulato nei decenni. Vogliono il rogo non un processo dirà Craxi». 30 aprile 1993, Bettino Craxi l’ultimo giorno di una Repubblica e la fine della politica è il titolo del racconto con cui Filippo Facci, all’epoca cronista del quotidiano socialista Avanti ricostruisce la sera del lancio di monetine a Craxi davanti all’hotel Raphael che fu il suo quartier generale. Sono 220 pagine editore Marsilio.
Invitato da amici, compagni, polizia ad uscire dal retro Craxi non volle sentire ragioni. Decise di affrontare la folla vociante e rumorosa che si era radunata, reduce da un comizio di Achille Occhetto ma si erano aggiunti anche un po’ di missini. Insomma un cocktail micidiale a sostegno della falsa rivoluzione di Mani pulite. Per Facci quell’episodio fu centrale in tutta la vicenda. Anche se il giorno dopo e pure in quelli successivi i quotidiani non ne fecero cenno. «I poliziotti in borghese si muovono qua e là e fermano degli esagitati che vogliono arrivare alla macchina e che si lanciano. Sono pugni sul vetro, calci, colpi di casco e sassi sulla carrozzeria, d’un tratto non c’è più nessun filtro tra l’auto e i dimostranti, i poliziotti sono spersi, travolti, impegnati a bloccare la pressione a destra e a sinistra, Craxi sorride rivolto al finestrino. Tiratori di rubli, mormora. Che cosa c’è, dopo di questo che cosa c’è?».
«Ciò che venne dopo non fu più politica, ne furono le forme della assenza – chiosa l’autore – la tecnocrazia, l’illusione della società civile, la panpenalizzazione integrale del vivere quotidiano, il neo populismo, persino una medicalizzazione coattiva della cittadinanza con un netto restringimento delle libertà costituzionali, qualcosa che è bel lungi dal vedere la fine mentre scriviamo ma che ha messo ancor più fuori gioco se possibile i partiti intesi come rappresentanti della fisiologia democratica. Le piazze in futuro non avrebbero più avuto nemmeno le monetine da tirare e non solo per un indubbio impoverimento del paese ma perché le piazze sarebbero diventate virtuali. Il mondo è cambiato ovunque ma solo da noi con una cosiddetta rivoluzione a fare da abbrivio».
Così si arriva ai giorni nostri ripensando in pratica a quello che accadde ormai quasi trent’anni fa. Il paese ha avuto sempre bisogno di un capro espiatorio e non è cambiato. Basta vedere quanto sta avvenendo adesso con il caso magistratura che la casta togata – imbrogliando, utilizzando carte false e nascondendo quelle vere – cerca di veicolare come caso Palamara: circoscrive a un solo responsabile che però aveva piazzato almeno 85 colleghi in ruoli apicali in posti di potere vero. Bettino Craxi aveva fatto quello di cui anche altri si erano resi responsabili. Disse papale papale in pieno Parlamento che tutto il finanziamento della politica era irregolare, invitando chi non fosse d’accordo ad alzarsi e a dirlo. Non si alzò nessuno. Erano tutti imbarazzati, come i magistrati oggi davanti alle accuse e autoaccuse di Palamara che chiama in causa un’intera categoria, un sistema.
Quella magistratura che 30 anni fa si era proposta per salvare il paese, appoggiata dai giornaloni oni-oni di proprietà di editori con altre attività e per questo sotto lo schiaffo del mitico pool. Facci ricorda le telefonate con cui i direttori la sera concordavano i titoli. Erano i megafoni del pool. Chi scrive questa breve recensione era lì al quarto piano a cercare di raccontare una storia diversa. Mi toccò la medaglia del primo giornalista al mondo al quale il pool fece causa. Avevo scritto che gli imprenditori prima si mettono d’accordo con i politici per fare i soldi e poi con i giudici per non andare in galera. Scrissi che il mitico pool aveva invitato i colleghi bresciani a non andare ad Hammamet per sentire nell’inchiesta su Di Pietro un latitante, Craxi. Quel viaggio poi non si fece. Il “latitante” per telefono mi disse che ero uno dei pochi ad aver capito e di aver invitato i suoi a seguirmi a leggere quanto scrivevo sul Mattino. E lì capii definitivamente che l’uomo che aveva avuto in mano l’Italia era messo male. Ma proprio male.
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