Partiamo dall’analisi fatta da Piero Sansonetti il 21 novembre: «Un gruppetto di Pm fiorentini si convince che spetta alla magistratura stabilire come, dove e quando possano organizzarsi le associazioni politico-culturale, le correnti, i partiti. Di conseguenza spetta a loro magistrati stabilire cosa sia partito e cosa no […] Perché i partiti sono considerati più o meno organizzazioni a delinquere». Siamo arrivati allo sbocco finale di un processo iniziato fra il ’92 e il ’94.

Nel ’92-’94 è stato messo nel mirino il finanziamento irregolare dei partiti che era iniziato dalla fondazione della repubblica. Se nel 1947 e negli anni successivi ci fosse stato in azione un pool di Pm come quello composto da Borrelli, Davigo, Di Pietro, Colombo e con un gip come Ghitti, con la stessa metodologia e gli stessi scopi non si sarebbero salvati De Gasperi, Fanfani, Moro, Nenni, Saragat, Ugo La Malfa e Togliatti, Amendola, Secchia (questi ultimi due in fasi diverse ebbero anche il ruolo di presiedere all’amministrazione “straordinaria” del PCI). Allora c’era di mezzo addirittura il finanziamento della CIA, dell’Assolombarda, della FIAT, dell’ENI, della Montecatini, del KGB e delle cooperative rosse. Tutti i partiti sarebbero stati azzerati.

Ciò premesso, veniamo ai nostri giorni. Nel ’92-’94 certamente i partiti non avevano il fascino degli anni ’40-’60. C’era stato il 1989 e ciò che lo seguì, cioè il crollo per implosione, non per una guerra, del comunismo sovietico, di quello dei paesi dell’Est e come conseguenza il PCI fu costretto a cambiare ragione ideologica e riferimenti internazionali. A quel punto i cosiddetti poteri forti, cioè i grandi gruppi finanziari ed editoriali, non riconobbero più ai partiti in genere, ma specialmente alla DC e al PSI l’enorme potere di cui essi avevano goduto fino a quando erano serviti per escludere dal governo il più forte partito comunista dell’Occidente, per di più con il Trattato di Maastricht che affermava mercato e libera concorrenza il sistema di Tangentopoli era diventato anti-economico. Per certi aspetti le cose si erano addirittura rovesciate: la DC e il PSI erano stati fino ad allora i proprietari sostanziali dell’IRI, dell’ENI e dell’EFIM che davano un certo fastidio ai grandi imprenditori privati. E il PDS, che sul piano elettorale prendeva la metà dei voti del PCI, non era voluto diventare socialdemocratico per non darla vinta al PSI di Craxi, ma la sua vera Bad Godesberg l’aveva fatta sulla nave Britannia dando via libera al neo-liberismo e a un processo a tappe forzate di privatizzazioni che riguardarono appunto l’IRI, l’EFIM e alcune banche.

A quel punto decollò l’operazione moralizzatrice di Mani Pulite, con un piccolo particolare: mentre del sistema di Tangentopoli facevano parte tutti i grandi gruppi imprenditoriali privati e pubblici e tutti i partiti senza eccezione alcuna, il circo mediatico-giudiziario che portò avanti l’operazione di Mani Pulite (il pool dei Pm di Milano, il pool dei direttori dei quattro principali giornali, il TG3, Samarcanda e le stesse Reti di Berlusconi) fece una scelta drastica. Mentre i segretari politici e i segretari amministrativi della DC, del PSI, dei partiti laici non potevano non sapere, il gruppo dirigente del PCI-PDS poteva non sapere anche se in Italstat le cooperative rosse ottenevano automaticamente appalti per il 20-30% e se sull’Enimont Gardini aveva portato una valigetta con dentro un miliardo avendo un appuntamento con i massimi dirigenti del PDS. Quindi in Italia è avvenuto qualcosa di unico in Europa. Cinque partiti sono stati praticamente distrutti non dagli elettori, ma dal circo mediatico giudiziario e il potere politico nel ’94 era destinato solo alle forze superstiti di quel massacro cioè al PDS e alla sinistra democristiana mentre certamente la Lega Nord e An non erano un’alternativa.

Possiamo avere paura delle parole, ma ci stanno pochi dubbi che si sia trattato di una moderna forma di colpo di Stato dove gli avvisi di garanzia e i titoli sparati contemporaneamente su Repubblica, Corriere della Sera, La Stampa e L’Unità erano il corrispettivo dei carri armati. A quel punto ci fu il corto circuito. Abbiamo visto che Berlusconi aveva messo le sue televisioni a disposizione del pool di Mani Pulite per evitare di fare la stessa fine di Salvatore Ligresti e di altri imprenditori amici di Craxi. Fino a quando Berlusconi rimase nel suo campo originario non ebbe nessun guaio giudiziario. I guai cominciarono quando egli decise di scendere in politica avendo visto che il PDS e i suoi alleati stavano per conquistare tutto il potere politico e che c’era uno spazio vuoto, quello dell’area moderata, liberale e riformista.

Ora, può non piacere per niente il conflitto d’interessi di cui Berlusconi era portatore, ma, di grazia, in una situazione nella quale si era formata una sorta di invincibile armata costituita da un nucleo di magistrati ormai presente e attivo non solo a Milano, da un partito come il PDS con il suo alleato La Margherita, dai principali quotidiani, dalla Rai, dalla Cgil, dal Monte dei Paschi, dall’Unipol, dalle regioni rosse, riaprire minimamente la partita era possibile solo se scendeva in campo una personalità carismatica che nel contempo però fosse dotata anche di rilevanti mezzi mediatici e finanziari. Di conseguenza può piacere o può non piacere, ma Silvio Berlusconi ha svolto in Italia dal 1994 fino al 2013 un fondamentale ruolo liberale, ha tenuto aperta la dialettica politica, insomma ha salvato la sostanza della dialettica democratica in questo paese. Se Berlusconi non fosse sceso in campo avremmo avuto una situazione nella quale il pluralismo era assicurato solo dalle correnti interne del partito unico (il Partito Democratico) tutti tenuti al guinzaglio dai pubblici ministeri che a loro volta ispiravano i principali giornali alimentandoli con le violazioni sistematiche del segreto istruttorio.

Dopodiché dal 1994 al 2013 si sono svolti due fenomeni paralleli, da un lato una sorta di caccia all’uomo portata avanti con tutti i meccanismi giudiziari possibili, dall’altro lato una dialettica fondata certamente sull’alternanza, ma un’alternanza del tutto atipica, non quella di stampo europeo fra un grande partito socialdemocratico e un grande partito conservatore-moderato, ma quella fra la coalizione antiberlusconiana e quella aggregata intorno a Berlusconi. Quella dialettica ha prodotto esecutivi assai scarsi quanto a capacità di governo, non parliamo di innovazione e di riformismo. Non è mai avvenuto che un governo di centro destra o di centro sinistra sia riuscito a succedere a sé stesso. Poi quando su un sistema politico così anomalo sono piombate ben due crisi economico-finanziarie tutto è andato a pallino. Per evitare la deflagrazione del sistema Italia nel 2011 Napolitano costrinse Bersani e Berlusconi a sostenere un governo Monti di lacrime e sangue. Sennonché Monti, essendo un puro tecnocrate, non mise limiti a quelle lacrime e a quel sangue e produsse una tale gelata che sommata a tutti gli errori e le forzature degli anni precedenti ha provocato una autentica reazione di rigetto da parte di quote crescenti di elettori: di qui l’intuizione di Grillo e Casaleggio che portò alla prima vittoria dei grillini nel 2013 (circa il 25%) e alla seconda ancora più marcata nel 2018 (addirittura il 32).

Nel frattempo, però la macelleria giudiziaria non si era fermata. Nel 2013, con una serie di forzature una più grave dell’altra (la formazione di un autentico tribunale speciale, una sentenza penale negata da una sentenza civile, l’applicazione retroattiva della legge Severino, il cambio del metodo di votazione al Senato) Berlusconi è stato finalmente estromesso dal parlamento. Il suo radicamento politico-elettorale però era tale che malgrado tutto ciò Forza Italia ha resistito. A mio personale avviso, dal 2013 in poi Berlusconi ha commesso l’errore di procedere a zig-zag fra derive estremiste (ritiro del sostegno al governo Letta e rottura sul nome di Mattarella) e scelte razionali e intelligenti (il patto del Nazareno). Questo andamento a però insieme a tendenze di carattere internazionale ha dato spazio ad un’involuzione sovranista del centro-destra testimoniata dalla crescita esponenziale della Lega nella versione Salvini e dal successivo rafforzamento di Fratelli d’Italia. L’affermazione contemporanea di una Lega populista-sovranista e di un Movimento 5 stelle populista e peronista ha prodotto un’autentica orgia giustizialista. A questo punto tutto si salda nel peggiore dei modi.

Oggi in Italia è praticamente impossibile fare politica se si vuole andare oltre a battaglie di testimonianza. Ciò avviene perché è sostanzialmente impossibile finanziare la politica. Il governo Letta ha dissennatamente eliminato il finanziamento pubblico dei partiti, ma quello privato diretto o indiretto (le fondazioni) è praticamente impossibile. Infatti, è un gioco da ragazzi per il circo mediatico-giudiziario gridare allo scambio ogni qual volta un imprenditore finanzia un partito e una fondazione e poi fa un affare o vince un appalto. Su tutto ciò si innesta un reticolo strettissimo di leggi e di procedure: la legge Severino, l’abuso in atti d’ufficio, il traffico d’influenze illecite, la legge spazzacorrotti, il voto di scambio e, ciliegina, quel concorso esterno in associazione mafiosa che consente praticamente tutto ai Pm. È stato introdotto un tale livello di arbitrarietà nell’azione penale e una tale demonizzazione di qualunque forma di finanziamento privato alla politica che è praticamente impossibile finanziare la nascita e la crescita di un grande partito e tanto meno una campagna elettorale. Per di più le categorie dello scambio e dell’inciucio sono state demonizzate, ma è scambio qualsiasi interesse che venga rappresentato e protetto sul piano legislativo, è inciucio qualunque intesa che venga realizzata fra forze politiche diverse.

Come ha rilevato giustamente Paolo Guzzanti qualche giorno fa. Adesso siccome stiamo vivendo una dominata dal dramma della pandemia tutto ciò è meno chiaro, ma quando, come ci auguriamo, il dramma del contagio verrà meno questa situazione diventerà evidente e clamorosa. Per di più su questo nodo c’è una totale incapacità di reazione dell’attuale quadro politico, da un lato nella maggioranza di governo il Movimento 5 stelle ha come punto di riferimento alcune procure e il loro organo di stampa, dall’altro lato nel centro-destra la situazione è del tutto paradossale: i poli opposti sono quelli di Berlusconi e di Salvini. Sappiamo bene qual è la posizione di Berlusconi sul giustizialismo, ma Salvini esprime una contraddittorietà spiegabile solo con la schizofrenia e il grottesco. Salvini è il tipo che quando un processo lo riguarda insulta i magistrati e mobilita tutto il centro-destra come è avvenuto a Catania, quando invece è arrestato un esponente di un partito alleato applaude Gratteri e lo invita ad andare avanti.

Ma questa paradossalità della figura di Salvini esprime una sorta di impasse di tutto il sistema politico italiano. L’attuale maggioranza presenta tutti i limiti possibili e immaginabili, ma può essere un’alternativa credibile quella di un centro-destra a guida Salvini che per un verso è contrario all’Europa e all’euro e per altro verso è una sorta di caricatura del combinato disposto fra Trump e Giuliani?