Gli ultimi tempi di Lionel Messi al Barcellona Daniel Gamper non guardava necessariamente la palla allo stadio: i 90 minuti li trascorreva soprattutto a cercare e a guardare il numero 10 argentino, anche senza pelota. Ed è convinto ancora oggi che al Camp Nou quello che si è visto con Messi non si vedrà più. E se lo dice lui, nipote di Hans Gamper, suo bisnonno, imprenditore svizzero nato a Winterthur oltre ciclista, tennista e calciatore, fondatore del Barça nell’ottobre del 1899; lui che vide la chioma di Bernd Schuster la sua prima volta allo stadio e centinaia di altri campioni dopo, lui che porta il nome del trofeo estivo dei blaugrana; insomma: se lo dice c’è da ascoltarlo.

Lontano dal Camp Nou, in questi giorni al Mondiale Qatar, Messi però non sta affatto scherzando: domani alle 16:00 contro la Francia si giocherà la sua ultima chance di vincere un Mondiale. Finora il sette volte Pallone d’Oro è stato il miglio calciatore del torneo. E Daniel Gamper Sachse – professore di filosofia morale e politica dell’Università Autonoma di Barcellona, premio Anagrama per il saggio Las mejores palabras, visiting professor dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli – che ancora lo rimpiange in maglia blaugrana, dopo il passaggio tormentato al Paris Saint Germain, farà il tifo per lui, e per l’Argentina che tifa dal 1978.

Senza dubbio è il miglior giocatore del Mondiale, imprendibile: l’ha sorpresa quello che Messi ha fatto finora in Qatar?

Quello che abbiamo visto in semifinale con la Croazia lo abbiamo visto al Camp Nou per quindici anni. Messi è sempre lui, sempre lo stesso: gioca meglio di chiunque altro, ha una capacità unica di far cambiare ritmo alle partite, è quasi impossibile togliergli la palla. Unisce intelligenza e talento come nessun altro.

Lo ha trovato cambiato?

Per noi tifosi del Barça è ancora doloroso vederlo con un’altra maglia. Ha cambiato maniera di giocare, ovviamente: calcola ancora le energie come fa ormai da una decina danni e rispetto a prima la sua posizione in campo è più arretrata. Questo non cambia il fatto che sia ancora capace di fare certe magie. Abbiamo percepito tutti come la sua determinazione e la sua leadership siano al punto più alto. È cosciente dell’opportunità che si sta giocando. Non gli pesa la responsabilità, non gli è mai pesata, solo ora ha tutta la maturità necessaria per prendere in ogni momento la decisione migliore.

Se dovesse paragonare Messi con un filosofo, chi sceglierebbe?

Più che con un filosofo lo paragonerei con un bambino: c’è qualcosa di infantile nella sua maniera di giocare che, unita alla sua determinazione da capitano della nazionale, lo rendono uno sportivo che fa sognare la gente. Lo vedo più come un bambino che si diverte a giocare che come un filosofo.

Non sceglierebbe neanche una corrente filosofica?

Penso che un’analisi filosofica del calcio si possa fare ma non credo che si possa fare filosofia calciando un pallone. Sarebbe una filosofia fatta con i piedi, un concetto che o è una contraddizione in termini o un forma di filosofia così avanzata che non siamo ancora pronti nemmeno a concepirla.

Se dovesse vincere il Mondiale, pensa che finalmente sarà considerato il più forte di tutti i tempi?

Non saprei. Certo il paragone con Maradona si accentuerebbe. Credo che i titoli siano sopravvalutati e che i ranking sono essenzialmente degli assassini dell’immaginazione. L’importante per un calciatore è la sua capacità di rendere felici le persone. E senza dubbio lui mi ha reso molto felice.

Pensa che si risolverà mai quel paragone con Maradona?

I paragoni comportano diversi aspetti. Prima di tutto ci aiutano a continuare a parlare di calcio. In secondo luogo dipendono dalla prospettiva che si adotta. Per i tifosi del Barcellona ​​Messi è senza dubbio il miglior giocatore della nostra storia, con cui sono stati raggiunti i più grandi successi sportivi e i più alti livelli di felicità allo stadio. Diego, a Barcellona, ​​non ha avuto fortuna. Per i tifosi del Napoli il paragone non ha senso, dato che Diego li ha portati in vetta praticamente da solo, o almeno così recita il luogo comune. Se li confrontiamo per come sono stati fuori dal campo, non c’è dubbio che Diego fosse un populista, un uomo del popolo senza giri di parole che usava la sua popolarità per dire le cose esattamente come le pensava, raggiungendo così una grande identificazione con la gente. Messi è un calciatore essenzialmente laconico, parla con pochi abbellimenti come il suo calcio, che è sobrio, diretto, senza virtuosismi. Messi è un uomo che si esprime in campo e in casa, ma davanti a un microfono non ha niente di molto rilevante da dire ed è un bene che sia così.

L’unico confronto è quello in campo: e il Mondiale dunque.

Quando Diego ha vinto il Mondiale non si è paragonato a nessuno, non sapeva nemmeno cosa stesse facendo. D’altronde Messi ha l’obbligo di vincere un Mondiale da dodici anni, per dimostrare di essere grande o più grande di Diego. Ha dietro di sé un intero Paese che lo spinge enfaticamente a vincere, che non smette di confrontare lui con D10S . Non c’è dubbio che vincere un Mondiale con così tanta pressione sia più difficile che farlo quando non c’è un confronto precedente. Il modo migliore per porre fine a tanta tensione è che l’Argentina vinca la sua terza Coppa del Mondo, così Diego e Lionel possano condividere il trono degli idoli e finalmente riposare.

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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.