C’è sempre uno scarto intollerabile fra le parole e la vita. Un conto è guardare il mondo dall’alto, planandoci sopra come ha fatto ieri l’altro Ursula Gertrud von der Leyen, presidente della Commissione europea, quando si è recata a Kastanies, al confine greco-turco, per rassicurare il premier ellenico Kyriakos Mitsotakis sulla determinazione di Bruxelles a difendere le frontiere del Vecchio Continente da qualsiasi intrusione esterna; un altro conto è accogliere, come capita al sottoscritto e a tanti altri cittadini di questo Paese, i profughi siriani, afghani, iracheni e kurdi, sfuggiti alla guerra, ai bombardamenti, alla violenza più truce, nel piccolo tentativo di insegnare loro la nostra lingua sperando che ciò possa essergli utile per sopravvivere e trovare un lavoro.

La visione è completamente diversa: da una parte abbiamo i settecento milioni di euro che sono stati promessi alle dissestate casse greche affinché possano organizzare la migliore protezione civile possibile, sempre nella speranza che la guardia costiera non apra il fuoco contro i migranti, come accaduto pochi giorni addietro, testimoniato dai video che girano in Rete; dall’altra ci sono gli occhi di Akam (nome inventato ma storia vera), il moncherino di un uomo che, prima di mettersi a studiare il verbo essere e avere, ti racconta, nel suo italiano raffazzonato ma terribilmente efficace, cosa gli è accaduto e perché lui è ridotto così: bomba-casa distrutta-madre-morta-gambe-rotte-occhio-cieco e mentre lo fa senti il rumore elettrico della carrozzina che l’ha portato davanti a te. Alla fine della lezione lo aiuti a tornare indietro, nel centro d’accoglienza dove adesso abita; tu e un ragazzo africano lo spingete fino in strada dove in qualche maniera salirà sull’autobus.

Quanti soldi sono stati dati al signor Tayyip Erdogan affinché si tenesse i profughi dentro le sue mura fortificate e quanti ancora gliene verranno versati? A lui e a tutti gli altri. Coi risultati che sappiamo. È la ragion di Stato, bellezza. Sì, d’accordo, lo sapevamo. Ce l’hanno spiegato in molti, dai tempi ormai lontani dell’università: il cosiddetto “male minore” e compagnia bella. Tuttavia ieri, osservando le foto di David Sassoli, presidente del Parlamento europeo che ha accompagnato la Von der Leyen fiancheggiandola nel suo show planetario, non ho potuto fare a meno di riandare con la memoria al famoso servizio su Don Lorenzo Milani, da lui firmato al tempo in cui lavorava alla Rai, una delle più efficaci sintesi televisive sul priore di Barbiana, per tornare a misurare dentro di me la voragine che divide il pronunciamento teorico dalla realtà effettiva.

È vero che Sassoli ha dichiarato: «Il primo problema da affrontare a livello europeo è quello dei ragazzini che arrivano soli, senza genitori». Appunto. Ma allora come facciamo, tutti noi, ad accettare i bambini morti durante gli sbarchi, le grida disperate dei genitori che li hanno portati fin lì per sottrarli alla barbarie? In quale modo considerare la caccia al migrante realizzata dai militanti neonazisti di “Alba Dorata”, tesa ad acciuffare i rifugiati per riconsegnarli alla polizia greca che a sua volta li rispedisce in Turchia? Come possiamo continuare a far finta di non sapere quello che sta accadendo a Lesbo dove i più piccoli tentano il suicidio?

Di certo non ci basteranno le povere, ciniche frasi di Ursula von der Leyen a proposito della umana “compassione” che ha detto di provare nei confronti di queste persone, ingannate, a suo dire, dai trafficanti che le avrebbero illuse. Se scendesse dall’aereo e uscisse dalle stanze dei consessi internazionali gettando soltanto un’occhiata per vedere come si vive in questo momento in Siria e Iraq, forse cambierebbe idea. Chi nei Paesi poveri del Medio Oriente e dell’Africa c’è stato veramente, intendo non negli alberghi protetti, non a tenere delle conferenze, ma ospite di famiglie comuni, sa bene che certi distinguo fra migranti economici e profughi politici sono patetiche invenzioni giuridiche, semplici escamotage a uso pubblicitario.

Dove non c’è acqua corrente, né luce elettrica, cioè in una parte ancora molto estesa del pianeta, è difficile restare. Basta una piccola ferita per prendersi un’infezione e rischiare un’invalidità permanente, se non addirittura la vita. Villaggi senza scuole, dove i bambini hanno sempre gli occhi rossi irritati dalla congiuntivite e tossiscono molto spesso perché si trascinano dietro bronchiti croniche. Poi arriva una guerra e brucia tutto. Ecco da dove partono i migranti. Chi, nato e cresciuto nelle medesime condizioni, non farebbe lo stesso? Per certi adolescenti che provengono da quelle terre soltanto camminare sui marciapiedi delle nostre città, senza dover respirare la polvere, è tanto, se non tutto. Entrare in un centro commerciale può sembrare il Paradiso.
E noi dovremmo alzare gli scudi per difendere i confini dell’Europa? Fosse così, a mio avviso il coronavirus non ci avrebbe insegnato niente.