Erano stati allontanati dal carcere di Santa Maria Capua Vetere a scopo precauzionale, cioè per evitare qualsiasi contatto con gli agenti di polizia penitenziaria che avevano denunciato in seguito ai pestaggi del 6 aprile 2020: una scelta che aveva fatto gridare alla violazione del diritto di difesa e del principio di territorialità della pena. Ora, però, quei 42 detenuti potranno chiedere di essere ricollocati in un penitenziario più vicino a quello finito al centro dell’inchiesta condotta dalla Procura sammaritana e nel quale erano rinchiusi fino a qualche settimana fa. La svolta è arrivata ieri, nel corso di un vertice tra i garanti dei detenuti e il reggente dell’amministrazione penitenziaria regionale Carmelo Cantone.

Già nelle prossime ore i 42 detenuti, recentemente sparpagliati in 23 diversi penitenziari di cui alcuni distanti anche 700 chilometri dalla Campania, potranno presentare la domanda di trasferimento per motivi familiari indicando tre strutture più vicine alla nostra regione. Sarà poi il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) a vagliare le istanze d’intesa con la Procura di Santa Maria Capua Vetere, titolare del fascicolo sui fatti dell’aprile 2020, che aveva segnalato la necessità di allontanare i detenuti dalla casa circondariale in provincia di Caserta. La decisione è importante perché ripristina, almeno parzialmente, i diritti dei 42 carcerati. All’indomani della notifica delle misure cautelari a 52 tra poliziotti e funzionari coinvolti nei pestaggi di aprile 2020, era stata la Procura di Santa Maria Capua Vetere a suggerire il trasferimento dei 42 detenuti che avevano segnalato alle autorità le angherie subìte.

Con una decisione senza precedenti, il Dap aveva “spalmato” gli ospiti della casa circondariale casertana in 23 istituti in tutta Italia: Sollicciano, Modena, Ivrea, Palmi, Forlì, Palermo, Reggio Calabria, La Spezia, Terni e Castrovillari, solo per citarne alcuni. In questo modo, una decisione adottata per tutelare i detenuti si era trasformata per questi ultimi in una seconda punizione. Già, perché essere trasferiti a 700 chilometri di distanza, per molti carcerati, significa rinunciare ai colloqui con i familiari, per giunta proprio nel momento in cui l’attenuarsi dell’emergenza Covid aveva reso nuovamente possibili gli incontri. Non solo: un allontanamento così netto e repentino rende più difficile anche il confronto con gli avvocati. Insomma, il danno oltre la beffa: dopo essere stati vittime dei pestaggi, quei 42 detenuti erano stati costretti a sopportare anche la lesione del diritto di difesa e di quel principio che tutela gli affetti di chi finisce dietro le sbarre. «Quei trasferimenti andavano organizzati con più umanità e ragionevolezza – sottolinea Samuele Ciambriello, garante regionale dei detenuti che ieri ha incontrato il rappresentante del Dap insieme con il collega napoletano Pietro Ioia e la casertana Emanuela Belcuore – Ora siamo comunque riconoscenti all’amministrazione penitenziaria che, consentendo a quelle 42 persone di presentare domanda di avvicinamento, fa emergere la prospettiva di un carcere più umano e in linea con i dettami della nostra Costituzione».

L’importante risultato ottenuto al termine dell’incontro di ieri, però, non basta. I garanti puntano a una svolta culturale che porti a concepire il carcere come luogo non solo di custodia, ma anche di accudimento e di accompagnamento dei detenuti verso il pieno riscatto personale e sociale. Ecco perché, nei prossimi giorni, Ciambriello, Ioia e Belcuore incontreranno Bernardo Petralia, capo del Dap che ieri non ha potuto prendere parte all’incontro negli uffici del Provveditorato campano dell’amministrazione penitenziaria. «Con la protesta successiva ai trasferimenti – sottolinea Ciambriello – siamo riusciti ad arginare l’onda di emotività che ha spinto qualcuno ad adottare decisioni sconsiderate. Adesso la gestione non solo di quei 42 detenuti di Santa Maria Capua Vetere, ma dell’intero sistema penitenziario deve tornare sul binario della ragionevolezza. Non possiamo più assistere ad amnesìe, vendette o ritorsioni ai danni dei detenuti, ma dobbiamo agire tutti secondo la Costituzione e il senso di umanità».

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.