Nazionale player breakfast
Donald Trump confessa: “A volte odio, ma cerco di imparare”
Trump non è ipocrita. Su questo le migliaia di partecipanti al National Prayer Breakfast di questa settimana a Washington sono stati tutti d’accordo, repubblicani e democratici. Tutti i precedenti undici presidenti che dal 1953 vi hanno partecipato si sono conformati allo spirito bipartisan dell’evento, presieduto da due deputati negli anni pari, da due senatori negli anni dispari, rigorosamente uno democratico e l’altro repubblicano. Tutti hanno affermato di credere all’importanza della preghiera e della fede, ed evitato polemiche di parte.
Tutti sinceri? Solo Dio – è il caso di dirlo – può saperlo! Certo, ancora oggi i sondaggi dicono che gli americani non accetterebbero un presidente ateo: sono più numerosi quelli che accetterebbero un presidente gay. Infatti quest’anno c’è il primo candidato dichiaratamente gay, il democratico Pete Buttigieg, ma non se ne è mai visto uno ateo.
Ebbene Trump è stato diverso. Non si è lasciato influenzare da chi ha parlato prima di lui, dai due co-presidenti che hanno scherzato, sulle loro differenze: John Moolenaar, repubblicano, farmacista di origine olandese, evangelico di una chiesa indipendente, deputato di un distretto rurale del Michigan grande quanto Piemonte Lombardia e Liguria sommati, che elegge solo repubblicani dal 1934 e Tom Suozzi, democratico, figlio di un immigrato dalla Basilicata (ha pronunciato in italiano il proverbio “Non c’è rosa senza spine”) e di una irlandese, cattolico, eletto in un grande quartiere di New York dove democratici e repubblicani si alternano da sempre. Ma ogni giovedì mattina si riuniscono con gli altri per pregare l’uno per l’altro, per la sua famiglia e il suo distretto.
Prima di Trump c’è stata la canzone I saw the Light, “Ho visto la luce” cantata e suonata, piuttosto bene, da un gruppo bipartisan di una decina di deputati, e soprattutto il keynote speech di Arthur Brooks, professore di scienze sociali, conservatore, autore del libro Ama i tuoi nemici, il tema del giorno. «Il disprezzo per l’altro è ciò che distrugge i matrimoni, fa male alla società e al confronto politico, non il dissenso anche se forte, sempre legittimo e spesso doveroso», ha detto. «I miei genitori erano progressisti, ma io, conservatore, non li ho mai disprezzati».
Dopo tutto questo toccava a Trump, in una settimana di fuoco. Martedì il discorso sullo stato dell’Unione, dove ha rifiutato la mano porta dalla presidente della Camera, Nancy Pelosi, in quanto artefice della richiesta di impeachment, che lui ha definito (la richiesta) falsa, malvagia e dannosa per il Paese. In risposta Nancy, mentre lui si godeva gli applausi, ha platealmente strappato i fogli del discorso. Mercoledì il fatale voto del Senato che ha visto l’assoluzione di Trump prevalere 52 a 48, ma comunque occorrevano 67 voti contro di lui per rimuoverlo dalla carica. “The Donald”, conferma chi l’ha incontrato da vicino, si sentiva profondamente offeso ritenendo infondate le accuse e sleale il metodo: del resto, in 231 anni, è stato solo il quarto caso di messa in stato di accusa. La stessa Pelosi l’ha definito una cicatrice permanente, benché nel frattempo il Presidente abbia aumentato il consenso.
E così Trump non è stato bipartisan. Al suo ingresso in sala, salutato come sempre dalla marcia presidenziale e da grandi applausi, ha sventolato un giornale che intitolava Trump assolto. E nel discorso ha rivendicato gli straordinari risultati nell’economia, contrapponendoli alla slealtà dei democratici.
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