L’8 marzo, ogni anno, è il giorno perfetto per la classe politica italiana per ribadire i discorsi delle belle intenzioni sulla donna, sul suo ruolo nella società e nella politica, sulla necessità di una Italia più “rosa”. Parole, appunto, cui però da anni non seguono però i fatti.

Proprio della presenza femminile si è riparlato recentemente per la nomina dei ministri del Partito Democratico, tutti capocorrente rigorosamente maschi, con le donne ‘relegate’ alle poltrone di sottosegretari tra il grande imbarazzo dei vertici Dem, in primis il segretario dimissionario Nicola Zingaretti.

La questione femminile in politica, riciclando la più celebre “questione meridionale”, sembra lontana dal risolversi e a certificarlo in maniera dura e cruda sono i numeri. Se ad oggi mancano nella storia repubblicana un capo di Governo o di Stato di sesso femminile, l’assenza di donne dai ruoli di vertice si nota anche scendendo più in basso nella ‘catena’.

I COMUNI – Un esempio? Come analizzato da YouTrend, dei primi 50 comuni per popolazione, sono solo cinque quelli amministrati da donne: oltre a Roma e Torino, entrambe in mano al Movimento 5 Stelle con Virginia Raggi e Chiara Appendino, ci sono solo Piacenza (Patrizia Barbieri col centrodestra), Ancona (Valeria Mancinelli col centrosinistra) e Andria (Giovanna Bruno per il centrosinistra).

Nei numeri generalmente imbarazzanti per tutti i partiti, spicca però ancora una volta in negativo la ‘performance’ del Partito Democratico. Anche infatti per quanto riguarda le candidate a sindaco i numeri sono deficitari: il centro sinistra negli ultimi 5 anni ha sostenuto solamente due candidati donna nelle 20 maggiori città italiane, ovvero Valeria Valente a Napoli nel 2016 e Orietta Salemi a Verona nel 2017. Meglio del Pd hanno fatto i 5 Stelle, che nello stesso periodo ne hanno candidate quattro, e il centrodestra con cinque candidate. Numeri comunque in miglioramento se consideriamo che tra il 2011 e il 2015 nessuna donna è stata eletta sindaca di uno dei maggiori 20 comuni italiani.

LE REGIONI – Sempre YouTrend esamina anche il dato per le elezioni a carattere regionale. Dopo la recente scomparsa di Jole Santelli in Calabria, l’unica Regione guidata da una donna è l’Umbria di Donatella Tesei, a guida di una coalizione di centrodestra. Quanto invece alle candidature, lo scenario è nero: negli ultimi 5 anni il centrosinistra non ha candidato nessuna donna alle Regionali, il centrodestra quattro, ovvero Santelli, Tesei, Borgonzoni (Emilia Romagna) e Ceccardi (Toscana). Quanto al Movimento 5 Stelle sono stati cinque i candidati al femminile negli ultimi 5 anni.

IL PARLAMENTO – Nei due rami del Parlamento italiano la situazione è migliore: le donne sono attualmente il 35,3% degli eletti. Ma il merito di questi numeri vanno ricercati anche nel Rosatellum, la legge elettorale che prende il nome dal suo ‘creatore’, Ettore Rosato, che ha introdotto criteri per una maggiore equità dei due generi nelle liste elettorali.

Va anche detto che i diversi partiti non hanno mostrato alcuna ‘manica larga’ nelle candidature ‘rosa’ in Parlamento: per YouTrend infatti esaminando i collegi uninominali, dove per la legge Rosato i quattro principali schieramenti nelle elezioni del 2018 non potevano candidare meno di 552 donne, in totale ne hanno candidate 580.

LE ALTE CARICHE – L’ostracismo verso le donne nelle alte carichi politico-istituzionali è facilmente leggibile nella storia italiana, e ancora oggi non sembrano esserci all’orizzonte cambiamenti epocali. Come già detto, ad oggi mancano nella storia repubblicana un capo di Governo o di Stato di sesso femminile, ma solo in questa legislatura si è avuta l’elezione di una presidente del Senato donna, la forzista Maria Elisabetta Alberti Casellati. Solo tre le donne che hanno potuto presiedere la Camera dei Deputati, Nilde Iotti, Irene Pivetti e Laura Boldrini, mentre recentemente la Corte Costituzionale ha avuto alla sua guida una donna, l’attuale ministro della Giustizia Marta Cartabia.

L’APPELLO DEL GIUSTO MEZZO – “Sindaci di tutta Italia, assumete il bilancio di genere nel vostro Comune e utilizzate il Recovery Fund per occupazione femminile, gender pay gap e servizi di cura”. È questo l’appello lanciato oggi, lunedì 8 marzo, agli amministratori di tutta Italia, da ‘Il giusto mezzo’, il movimento spontaneo della società civile per la parità tra donne e uomini in Italia nato sulla scorta dell’appello europeo ‘Half of It’, che sarà in piazza per sostenere lo sciopero promosso da Non Una di Meno. Si chiama “‘l’8 in Comune’ (hashtag #l8inComune)- precisa una nota stampa del movimento- e non sarà solo un’astratta richiesta: i Municipi riceveranno nella loro casella mail l’ordine del giorno per la riduzione del divario di genere che il Movimento del Giusto Mezzo ha redatto insieme alle proprie esperte. E di fronte alle loro sedi appariranno i fiocchi fucsia che rimandano alla petizione”. In questi giorni “le attiviste di ogni Regione hanno raccolto l’indirizzo pec degli uffici del protocollo dei Comuni, e oggi sono partite le mail da ogni angolo d’Italia- continua il Giusto Mezzo- L’ordine del giorno impegna Giunta e Consiglio ad utilizzare le risorse del Recovery Fund per favorire la formazione e il lavoro femminile, contrastare il gender pay gap, potenziare la rete dei servizi alle persone, promuovere forme innovative di smart working e lavoro agile; a promuovere l’assunzione del bilancio di genere; rafforzare azioni per la qualità dell’occupazione femminile; monitorare le discriminazioni e le molestie sul lavoro; individuare agevolazioni e premialità per le aziende che praticano le pari opportunità nella propria organizzazione; incentivare azioni di contrasto alla povertà attraverso progetti di reinserimento lavorativo per le donne in estremo disagio sociale”.

Sempre l’8 marzo “tornano anche i fiocchi fucsia- fa sapere il Giusto Mezzo- Questa volta le card con il QR Code che rimanda all’appello sul sito – quasi 57mila firme ad oggi – saranno appese in tutta Italia all’esterno dei palazzi che ospitano le amministrazioni pubbliche (Comune, Citta’ metropolitana, Regione…) e nelle bacheche di libera affissione (biblioteche, aziende, anagrafi). L’appello- conclude il movimento- chiede al presidente del Consiglio di utilizzare meta’ dei fondi messi a disposizione dall’Unione Europea attraverso Next Generation Eu per politiche integrate e investimenti moltiplicatori sulla parita’ di genere e l’occupazione femminile: asili, servizi di cura, congedo di paternità obbligatorio, superamento del gap salariale”.

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Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia