Il 30 marzo del 1961 al Palazzo di Vetro si adottava la Convenzione Unica sugli stupefacenti per promuovere l’accesso a piante, derivati e composti chimici con impiego terapeutico prevedendo sanzioni in caso di loro “diversione” in circuiti non medico-scientifici. Tra gli scopi principali della Convenzione, che consolidava nove trattati multilaterali sul controllo delle sostanze stupefacenti negoziati tra il 1912 e il 1953, c’era anche la riorganizzazione amministrativa di quanto all’Onu esisteva relativamente alla gestione degli stupefacenti. Il testo per la prima volta allargava il controllo alle piante e materie prime necessarie per la produzione o raffinazione.

Sono oltre 100 gli stupefacenti posti sotto il regime di sorveglianza speciale istituito dalla Convenzione del ‘61: prodotti a base vegetale come oppio e suoi derivati (morfina, eroina, codeina), cannabis, coca e cocaina oltre che sostanze sintetiche tra cui metadone e petidina. Tutte incluse in quattro tabelle ciascuna delle quali è soggetta a un diverso livello di controllo con l’obiettivo di eliminare le produzioni illecite di oppio entro 15 anni e quelle di coca e cannabis entro 25. Non lo ricordiamo mai, ma nell’anno in cui veniva costruito il muro di Berlino, che per quasi 30 anni divise in due la Germania, gli esiliati cubani sostenuti da Washington fallivano l’invasione di Cuba dalla Baia dei Porci e il cosmonauta sovietico Yuri Gagarin completava il primo volo nello spazio – quindi in uno dei picchi della Guerra Fredda – gli arcinemici e i loro alleati si accordavano per adottare un’architettura normativa che formalmente promuoveva l’accesso a farmaci psicoattivi “per il bene dell’umanità” ma che di fatto creava il proibizionismo.

Capito che una “unica” convenzione non sarebbe stata sufficiente a raggiungere gli obiettivi, si mise mano a una serie di emendamenti che l’avrebbero modificata nel 1972 e se ne adottò una seconda nel 1971. La mancanza di progresso, e l’invasione della cocaina e dell’eroina negli Usa e in Europa, suggerirono nel 1988 un terzo documento volto ad armare la lotta contro il traffico illecito di stupefacenti attraverso la cooperazione giudiziaria. Nel 1990, anno in cui l’Italia implementò la Convenzione del 1988 con una delle peggiori leggi in materia, la Jervolino-Vassalli, tornata in vigore nel 2014 in quasi tutta la sua rigidità punizionista a seguito dell’inconstituzionalità della Fini Giovanardi, le Nazioni unite tennero una prima riunione dedicata alle “droghe”. Nel 1998, sotto la guida del vice-segretario generale dell’Onu per la droga e il crimine Pino Arlacchi, fu convocata una sessione speciale dell’Assemblea Generale (Ungass) col titolo “un mondo libero dalla droga, ce la possiamo fare” entro 10 anni.

Tanto nella prima quanto nella seconda riunione non si dubitò dei presupposti della guerra alla droga, anzi si andarono a rafforzare le politiche più dannose e invasive come l’eradicazione forzosa della colture anche con fumigazioni aeree. Nel 2003, a seguito del defenestramento di Arlacchi, un imbarazzato “segmento ministeriale” convocato a Vienna dal suo successore Antonio Maria Costa non registrò il disastro globale rinviandone sine die una valutazione. La mancanza di progresso nel controllo delle “droghe” e dei loro trafficanti sconsigliò la convocazione di un’altra Ungass affidando a una dichiarazione politica considerazioni più bilanciate.

Nel 2016, su insistenza di Guatemala, Messico e Colombia – fra i paesi più colpiti dai “danni collaterali” della war on drugs – si tenne la seconda Sessione speciale al Palazzo di Vetro. Da allora all’Onu la fiducia nel riaffermare la proibizione s’è incrinata fino al voto che il 2 dicembre 2020 ha cancellato per sempre la cannabis dalla IV Tabella della Convenzione del 1961. Per far il punto a dove siamo oggi alle 18 abbiamo organizzato un webinar – info su fuoriluogo.it/epicfail

Marco Perduca, Leonardo Fiorentini

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