“Piccoli aggiustamenti” che non cambiano la struttura della riforma. È la parola chiave per capire il senso della giornata e il destino della riforma Cartabia sulla giustizia. La fa filtrare Giuseppe Conte dopo i 45 minuti a colloquio con Mario Draghi in cui ha garantito un «contributo attento e costruttivo» e suggerito «miglioramenti che possano scongiurare sacche di impunità». E la fa filtrare anche la ministra della Giustizia Marta Cartabia che, a Firenze per un convegno, ha ricordato come la “mediazione Cartabia” (“più corretto di riforma”) sia frutto di «lunghe e pazienti trattative con tutto il Parlamento e con tutti i protagonisti della vita della Giustizia». Dunque non ci può essere spazio a modifiche strutturali a meno che non si voglia smentire e delegittimare ministri e parlamentari, per non parlare di avvocati e magistrati che hanno dato il via libera alla riforma e ora si stanno mangiando la parola data.

Ci potrà invece essere spazio “per qualche ritocco” ed un piccolo slittamento dal 23 al 26 luglio per l’esame degli emendamenti. Ma poi non ci potranno essere ulteriori rinvii. A costo di mettere la fiducia. Tema che Conte smentisce di aver affrontato nel suo faccia a faccia con Draghi. Ma che è sul tavolo da giorni. Dice una qualificata fonte parlamentare 5 Stelle: «Se è vero, come è vero, che Draghi gioca a carte scoperte e che sul piatto ci sono le sue dimissioni e che intende chiudere tutto entro pochi giorni, Conte non può certo aprire una crisi adesso perché non ha ancora pieni poteri e perché non avrebbe l’appoggio dei deputati».

La seconda parola chiave potrebbe dunque essere “tanto tuonò che piovve”. Nel senso che il passaggio sulla giustizia, drammatizzato nei giorni scorsi da autorevoli parlamentari 5s come Bonafede e Sarti, sarà condotto da palazzo Chigi regalando una bandierina a ciascuno. Bandierine di carta, però. Spiega una fonte di governo: «Il clima dell’incontro è stato costruttivo. Il passaggio parlamentare dovrà essere condotto senza strappi e con pochissime modifiche concordate». Un occhio a sinistra per il caos nei 5 Stelle e uno a destra per i dispetti di Meloni a Salvini e Berlusconi causa Cda rai, Mario Draghi porta avanti la palla forte di uno schema in tre punti che niente e nessuno può smontare: “Questo governo è nato per decidere”; “tutti i partiti hanno le proprie bandiere ma tutti i partiti dovranno rinunciare a qualcosa”; “sulle riforme del Pnrr ci abbiano messo tutti la faccia e abbiamo dato la nostra parola, se qualcuno cambia idea se ne assumerà le conseguenze”.

Con questa granitica consapevolezza, il premier ieri ha affrontato il suo primo faccia a faccia con il suo predecessore. E se alla vigilia l’avvocato del popolo si era espresso con affermazioni un po’ ultimative come «ora sulla giustizia noi ci faremo sentire», «i ministri hanno fatto male a votare Sì in consiglio dei ministri, avevano mandato di astenersi», «giù le mani dalle nostre bandiere», ieri mattina è stato, si dice, «molto più pragmatico e realista». Anche, pare, meno verboso del solito. Entrato dall’ingresso posteriore, Conte è uscito da quello principale dopo i 45 minuti che sono il tempo standard concesso ad ogni leader. L’ultima volta in questa piazza era la gelida mattina del 13 febbraio, fu una specie di marcia trionfale con saluti e lacrime dalle finestre e i gruppi di fan che lo acclamavano dalle transenne.

Ieri quando Conte ha messo il naso fuori ha dato un’occhiata a destra e a sinistra in cerca di simpatizzanti che però erano sì e no una dozzina. Una volta in piazza, dopo un compiaciuto «senza di me sapete che noia», il leader designato del Movimento ha parlato di incontro “proficuo”, ha assicurato «pieno sostegno per la campagna vaccinale» e sulla giustizia ha parlato di «contributo attento e costruttivo senza bandierine ideologiche» assicurando «miglioramenti che possano scongiurare sacche di impunità che sarebbero insostenibili per la storia e le battaglie del Movimento». Il tutto, si fa notare dal suo staff, con il solito «garbo istituzionale e senza i toni ultimativi che certo non fanno parte del suo modo di agire».

L’ascia di guerra, se mai è stata alzata, è stata così seppellita di nuovo. È probabile, anche se non ci sono conferme su questo, che Draghi abbia ricordato a Conte che i ministri 5 Stelle non solo hanno votato ma si sono anche impegnati a difendere la riforma in Parlamento. Fonti vicine a Conte dicono che «il senso politico della sua posizione è stato chiaramente compreso» tanto che Draghi «non ha completamento chiuso la porta a piccole modifiche». Di sicuro qualcuno avrà fatto notare all’ex premier che il processo Morandi non può essere annoverato, come lui stesso ha fatto, tra i «150 mila che rischiano di saltare per la riforma Cartabia visto che è applicabile dal primo gennaio 2020». Per vedere come le chiacchiere – molte – diventeranno fatti occorre attendere oggi. Alle 11 scadono i termini per depositare gli emendamenti al testo generale della riforma e alle 18 per la parte specifica della prescrizione. Solo a quel punto sarà chiaro fino a che punto il Movimento o parte di esso vorrà giocare duro. Stesso discorso vale per il Pd che all’improvviso sabato ha chiesto aggiustamenti.

Di sicuro Draghi vuol il via libera della Camera “entro la pausa estiva”. Che ancora non è stata comunicata. E sta diventando una sottile arma di persuasione. Intanto Conte ha spiegato di aver scelto di non candidarsi per le suppletive (collegio romano di Prima valle) perché «in questo momento il suo impegno politico prevede altro», la rifondazione del Movimento. Dal canto suo Draghi deve tener d’occhio la coalizione di centrodestra. Ci sono sei decreti in scadenza entro fine agosto e due decreti chiave come concorrenza e riforma fiscale da approvare entro fine luglio.

Meloni è molto offesa per lo scippo del posto nel cda Rai (Simona Agnes, quota Fi, al posto del “suo” Rossi) e ieri ha ricambiato scippando a Forza Italia un senatore di qualità come Malan. Ripicche tristi che accendono una luce rossa anche sulla tenuta del centrodestra di governo. Servirà molta attenzione per evitare che le bandierine ammainate finiscano per essere issate nel campo di Fratelli d’Italia. Al netto del semestre bianco, Draghi dovrà tirare fuori la pazienza di Giobbe per evitare che a forza di tirare la corda ci possa scappare l’incidente.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.