Lo hanno ammazzato fisicamente e psicologicamente. Dopo 30 anni di carcere era uscito da 2 anni e da allora non era più lo stesso”. Gino Cacace, figlio di Enzo, è disperato per la morte del papà. Napoletano, originario del Rione Traiano, aveva 60 anni. È stato tra i primi a denunciare quella che il Gip ha definito “orribile mattanza”, le violenze che il 6 aprile 2020 si sono consumate nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Enzo era in sedia a rotelle. Nelle immagini restituite dalle telecamere di videosorveglianza del carcere c’era anche la brutale aggressione che subì Vincenzo e che lui stesso raccontò a volto scoperto davanti alle telecamere di tutta la stampa nazionale.

Appena uscito dal carcere, un anno dopo quel drammatico aprile, denunciò tutto quello che gli era successo: “Sono stato il primo ad essere tirato fuori dalla cella insieme con il mio piantone perché sono sulla sedia a rotelle – raccontò –  Ci hanno massacrato, hanno ammazzato un ragazzo. Hanno abusato di un detenuto con un manganello. Mi hanno distrutto, mentalmente mi hanno ucciso. Volevano farci perdere la dignità ma l’abbiamo mantenuta. Sono loro i malavitosi perché vogliono comandare in carcere. Noi dobbiamo pagare, è giusto ma non dobbiamo pagare con la nostra vita. Voglio denunciarli perché voglio i danni morali”.

Dal carcere di Santa Maria Capua Vetere era uscito cambiato, profondamente prostrato nel fisico e nella mente. Lui che tutti chiamavano “il gigante buono”, già con qualche acciacco, era rimasto profondamente turbato da quanto gli accadde in carcere. “Era in stato confusionale, non era più il mio papà – racconta Gino – Voglio giustizia per come lo hanno ridotto loro, lo hanno rovinato, non era più lui. Non riusciva più a dormire la notte. Se riusciva un pochino a prendere sonno diceva ‘amputato spegnete la luce’, poi urlava e piangeva. Mi chiamava nel cuore della notte, era inquieto”.

La nuora racconta che Enzo già da qualche tempo non stava bene ed entrava e usciva dagli ospedali. “All’inizio ci dissero che i suoi reni non funzionavano più bene e aveva bisogno di dialisi – racconta – gli misero una cannetta alla gola per la dialisi. Lui con la testa già non ci stava più. Usciva dall’ospedale e ce lo ritrovavamo qui da noi che voleva mangiare e non voleva stare in ospedale. Il figlio doveva riportarlo in ospedale perché non stava bene. Se si staccava la cannoletta alla gola poteva morire dissanguato. Poi qualche giorno fa dall’ospedale ci hanno detto che aveva avuto un blocco respiratorio e da quel momento si è aggravato. Negli ultimi giorni è stato in coma farmacologico. Ci hanno detto che i reni non funzionavano. Poi hanno iniziato a dirci a giorni alterni che stava meglio o peggio. Ieri mio marito è andato a trovarlo e aveva gli occhi aperti ma aveva ancora la ventola. Poi mi hanno chiamato e mi hanno detto che aveva avuto un arresto cardiaco. Ho sperato fino all’ultimo che riuscissero a salvarlo, perché aveva già sofferto di cuore, ma non ce l’ha fatta”.

Gino è stato l’ultimo a vederlo prima che spirasse. “Diceva il nome di mio figlio e di mia madre – racconta senza riuscire a trattenere le lacrime – Mi ha detto che non ce la faceva più eppure aveva una forza da leoni mio padre”.

“Ha lottato troppo a lungo, l’ultima carcerazione per lui è stata fatale – racconta una delle sorelle di Enzo – Non si sentiva più una persona dignitosa e rispettata dopo essere stato picchiato da chi doveva badare a lui. Mi diceva che non ce la faceva più a vivere perché aveva perso tutta la sua dignità. Ha cercato lui la morte negli ultimi momenti. Pregava di morire perché era stanco. Era in sedia a rotelle quando lo hanno pestato. Quando in televisione ho visto le immagini di quello che era successo nel carcere non potevo credere ai miei occhi: non potevo credere che quello fosse mio fratello. Al telefono ce lo diceva che lo stavano malmenando e minacciando. Io non è che non ci credevo ma ho vissuto anche io il carcere e queste cose non succedevano. Al femminile c’era una sorta di fratellanza ed eravamo seguite”.

Quasi tutti i 107 imputati della mattanza nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) affronteranno la fase finale dell’udienza preliminare, attesa per il 28 giugno, e l’eventuale dibattimento. La decisione sul rinvio a giudizio è attesa per l’udienza in programma il 28 giugno (potrebbe saltare per l’astensione nazionale degli avvocati), quando sarà passato un anno esatto dal blitz che portò i carabinieri a notificare ad agenti e funzionari del Dap 52 misure cautelari emesse dal giudice per le indagini preliminari di Santa Maria Capua Vetere per reati gravi, tra cui la tortura.

Enzo ha continuato fino all’ultimo a seguire gli aggiornamenti di quel processo. Si è spento senza conoscerne gli esiti. Ma tra le sue ultime volontà riportate a Gino c’è quella di continuare a combattere per lui. “Mi disse: ‘Se mi succede qualcosa voglio che stai tu dietro al processo e devi combattere’ – ha detto Gino – E io per lui combatto fino infondo. Non mollerò mai, voglio solo giustizia per mio padre, per quello che gli hanno fatto. Mio padre si è vero che ha sbagliato, però aveva il diritto di scontare la sua pena normalmente non con i poliziotti che picchiavano i detenuti. Doveva pagare ma non con la vita”.

“Spero che paghino per quello che gli hanno fatto come facciamo noi quando commettiamo qualche errore – continua la sorella di Enzo – Deve pagare chi gli ha distrutto la vita e gli ha fatto perdere denti, dignità e personalità”. Nel procedimento in corso il garante regionale dei detenuti Samuele Ciambriello, quello del comune di Napoli, Pietro Ioia, e la casertana Emanuela Belcuore sono parte civile insieme al garante nazionale Mauro Palma, all’associazione Antigone, ad altre associazioni che si occupano dei diritti dei detenuti e molti dei reclusi che subirono le violenze messe in atto dagli uomini della penitenziaria il 6 aprile 2020.

Lotteremo per far avere giustizia a Enzo – ha detto Ioia – Quello che ha subito sicuramente lo avrà segnato. Siamo accanto alla famiglia di Enzo, saremo solidali anche dopo la sua morte. Non ci fermiamo e chiederemo giustizia. Quello che Enzo ha subito non è una cosa da paese democratico. Il carcere deve essere un luogo rieducativo e non deve ridurre così le persone. Il carcere continua a uccidere e la politica fa orecchie da mercante e si dovrebbe svegliare. Quello che è successo a Santa Maria Capua Vetere non è un caso isolato, ne stanno uscendo altri fuori. Speriamo di ottenere giustizia”.

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.