Mai elezioni furono più incerte nell’esito finale, mai furono più scontate nel loro significato. È incerto il verdetto delle urne emiliane, dicono che sarà un arrivo al foto finish. Ma già si sa chi ha vinto e chi ha perso. Ha perso la sinistra e ha vinto la destra, chiunque governerà la regione nel prossimo quinquennio. La contendibilità del cuore rosso d’Italia: è questo lo scalpo che il cacciatore Salvini porta comunque a casa, anche se dovesse essere sconfitto. Ed è questo il verdetto amaro per la sinistra, anche se alla fine riconquistasse la presidenza emiliana. Lo stesso buongoverno di Bonaccini, rivendicato dalla sinistra, riconosciuto dalla destra, diventa una paradossale aggravante.

Perché segnala che la crisi di chi per mezzo secolo ha conservato nelle proprie mani le chiavi della regione, e cioè il Pci-Pds-Ds-Pd, non può essere lenita neppure da un’efficace performance amministrativa. Non è bastato il buongoverno, a Bonaccini, per conquistare la riconferma (se la riconquisterà) senza sudare le sette camicie, senza patemi d’animo.

E la contendibilità dell’Emilia Romagna racconta due verità, tutte e due dolorose per la sinistra. Dice in primo luogo quanto siano importanti, nella realtà e nella sua percezione, taluni nodi culturali e sociali del Terzo Millennio. La globalizzazione, il mercato del lavoro, i flussi migratori, la sicurezza personale, la diffusione delle droghe. Che poi sono i temi della spregiudicata campagna elettorale di Salvini. Fino a che punto il buongoverno rosso ha dato il giusto peso a questi nodi, a queste inquietudini, a queste debolezze?

E la stessa vicenda di Bibbiano: fino a che punto la sconsiderata reazione propagandistica a quei micidiali fatti di cronaca non enfatizza e asseconda l’insofferenza diffusa a una presunzione di superiorità culturale che trapela evidente dai comportamenti delittuosi di Bibbiano, a una cultura del politicamente corretto che presume perfino di sapere chi siano i padri buoni e i padri cattivi? Bonaccini ha gestito efficacemente la sanità. Ma forse non sempre ha avvertito certe tensioni che crescevano nel suo territorio, nei cuori di un popolo di antico pedigree comunista, nelle viscere dell’inappuntabile Emilia.

Ma soprattutto, e veniamo alla seconda verità, la contendibilità della Regione Rossa rappresenta lo scotto pagato all’inadeguatezza della sinistra nazionale – del Pd – rispetto al magmatico quadro politico-culturale della stagione grillina e salviniana. Un’inadeguatezza fin troppo chiara già negli anni di Matteo Renzi e che oggi, con l’alleanza giallorossa, appare eclatante. E basti pensare alle vere e proprie gaffe che ha inanellato la Finanziaria rispetto agli interessi materiali della Padania. A partire dalla plastic tax e dalle deludenti politiche fiscali. Un modo per allontanare imprenditori e partite Iva.

Ma è tutto quanto il rapporto tra giallorossi e mercato che resta opaco, a metà del guado tra sviluppismo e regressismo, tra liberismo e neostatalismo, tra il minisovranismo dei pentastellati e l’europeismo spesso di maniera del Pd. Questioni, problemi, timori che l’opinione pubblica di un territorio come quello emiliano-romagnolo probabilmente conosce per esperienza. E, se non conosce, certamente annusa.

Quale che sia il responso delle urne, la difficile corsa per la conquista dell’Emilia dovrebbe perciò essere una lezione per la sinistra. La quale sembra arrivata ormai al bivio. Può ricostruire una cultura politica aperta ai tempi che corrono, liberale, globale, riformista, una cultura che le permetta di guardare un po’ più lontano del proprio naso. O può prendere le scorciatoie che le offre l’alleato grillino, il conservatorismo sociale, la demagogia populista, l’assistenzialismo, il sudismo, il moralismo giustizialista. Coltivando così quel che resta del mitico zoccolo duro. E diventando un triste Labour all’italiana.