Dopo il successo in sala come co-sceneggiatrice di Siccità di Paolo Virzì, Francesca Archibugi torna in veste di regista e inaugura la diciassettesima edizione della Festa del Cinema di Roma con il suo nuovo lavoro: Il Colibrì. Tratto dal romanzo omonimo premio Strega 2020 di Sandro Veronesi, edito da La Nave di Teseo, il film segue la vita di Marco Carrera detto il Colibrì, interpretato da Pierfrancesco Favino, in un’esistenza che viene descritta come fatta di coincidenze fatali, perdite e amori assoluti.

126 minuti di narrazione che facilmente danza tra vari presenti, passato e futuro grazie ai ricordi del protagonista che apre una finestra sull’amore lungo una vita per Luisa Lattes ( Berenice Bejo), il suo matrimonio complicato con Marina (Kasia Smutniak) e il rapporto con la loro figlia Adele (Benedetta Porcaroli). Attorno a questi componenti principali, tanti personaggi e relazioni complementari, a partire dai genitori di Marco, Letizia (Laura Morante) e Probo (Sergio Albelli) e da Daniele Carradori (Nanni Moretti) inizialmente psicoanalista di Marina che si rivelerà essenziale nella storia. Con gli sceneggiatori Laura Paolucci e Francesco Piccolo, Francesca Archibugi sceglie di non toccare quasi niente dell’essenza de Il Colibrì nell’adattarlo sul grande schermo, tranne che per una scena aggiuntiva, morettiana: «Siamo stati fedeli al libro perché ci piaceva molto. Non avevamo necessità di raddrizzare qualcosa in cui credevamo. Un film non può essere l’illustrazione di un libro, deve avere un significato proprio ma questo non significa allontanarsene. Tutti avevamo amato il libro e si trattava di farne un film privato, personale che rispecchiasse noi stessi».

Su Moretti poi aggiunge Archibugi: «Nanni morettizza tutto ed è talmente lui un avvenimento sullo schermo che qualsiasi cosa fa, la rende speciale. Dieci pranzi ci ho messo a convincerlo ma lui porta ciò che è Carradori: un po’ un deus ex machina, è arbitro e giocatore al tempo stesso». Risponde all’elogio il regista di Caro Diario: «Per me è un piacere fare solo l’attore e faccio i miei complimenti a Francesca perché il coefficiente di difficoltà era molto alto nell’adattare il bellissimo libro di Sandro Veronesi. Mi son trovato molto bene con lei anche perché lo sapevo da spettatore che lei fa molta attenzione agli attori, è stato un vero piacere». Il Colibrì non si sottrae dall’affrontare anche il tema dell’eutanasia, tra gli argomenti caldi di questi giorni post elettorali in Italia insieme ad altri molto discussi come l’aborto.

È Pierfrancesco Favino a rispondere alle presunte connessioni tra il film e il momento storico che stiamo vivendo nel nostro paese: «Il libro è stato scritto nel 2018 ed edito nel 2019 e non credo che temi civili così alti come quello dell’eutanasia siano di una fazione o dell’altra. Personalmente non credo di essere la persona adatta a poter definire se sia giusto o meno ma da attore ho necessità degli altri come sono e il mio mestiere non è giudicarli, né giudicare ciò che loro considerano il bene o male. Il film è politico come qualsiasi cosa che racconta una storia è politica e in questo senso l’avvicendarsi di governi è secondario. Fino a quando avremo la libertà di raccontare storie penso sia anche il senso della democrazia».

Esce oggi in 460 copie con 01 Distribution, Il Colibrì e considerando la crisi delle sale, Francesca Archibugi si dice in apprensione: «Facciamo una bellissima uscita, 01 ci ha dato tante sale belle e giuste ma se il film non andrà bene sarà solamente colpa nostra. Siamo in apprensione perché dobbiamo combattere contro una disaffezione naturale degli spettatori verso la sala. Sempre più spesso si sente dire che il film era bellissimo ma la sala era vuota e così non è più un evento collettivo. Non mi piace l’idea che i film che restano al cinema siano solo i giocattolini per tredicenni. Il cinema invece ha la stessa dignità della letteratura e vedere un film è ancora come leggere un libro, richiede lo sforzo di pensarci, tornando a casa, a piedi, con le mani in tasca». Non solo cinema italiano alla Festa del Cinema di Roma ma la storia, raccontata in 6 episodi, degli ultimi divi che Hollywood possa ricordare: Joanne Woodward e Paul Newman.

Nella docu-serie The Last Movie Stars infatti, un Ethan Hawke regista, prodotto da Martin Scorsese, ne racconta il legame durato 50 anni, le carriere, la leggenda, attraverso un ricco materiale tra cui sbobinature dattiloscritte di audiocassette registrate dallo stesso Newman mentre preparava la sua autobiografia e poi andate distrutte. A ridargli voce nel film, il contributo di altrettanti divi di oggi tra cui George Clooney e Laura Linney. Alle due star, la Festa dedica anche l’immagine di questa edizione numero 17 ed a portare un po’ di età d’oro del cinema a Roma, la figlia della magnifica coppia, Melissa, ospite della manifestazione: «Ethan Hawke ha fatto un lavoro stupendo ed è quello che ci aspettavamo da lui. Sapevo che papà aveva in mente il progetto di un’autobiografia per chiarire le cose e raccontare lui stesso la sua storia, in un certo senso per avere l’ultima parola».

Oltre alla Newman, alla Festa presente anche la produttrice di The Last Movie Stars, Emily Wachtel che rivela come la serie ha trovato il suo punto di svolta proprio in pandemia: «Il Covid ha aiutato il progetto ma la serie è stata concepita nel 2015. Abbiamo pensato che non potevamo permettere che tutto questo patrimonio andasse perduto. All’inizio pensavamo di parlare solo di Joanne, ma era impossibile separarli, hanno passato 50 anni insieme. Le persone iniziavano a dimenticarsi di loro. E poi raccontare il loro rapporto è come raccontare la storia dell’America». I nostalgici della Hollywood di un tempo potranno farsi accompagnare dal sogno di Paul Newman e Joanne Woodward a dicembre su Sky e Now.