L'editoriale
Fiducia nello Stato: se in America cala a picco, l’Italia è regina del G7. Altro che Meloni, il merito è delle istituzioni

Qualche giorno fa l’Economist ha pubblicato un’inchiesta sulla fiducia degli americani verso le loro istituzioni. I risultati di un sondaggio Gallup sul potere giudiziario, sui militari, sul governo nazionale e sull’integrità del processo elettorale mostrano un calo della fiducia di quasi 15 punti percentuale fra il 2006 e il 2024. La gestione della pandemia e la sconsiderata politicizzazione della sanità fomentata da Trump è giudicata dall’Economist una delle ragioni principali di questo tracollo negli ultimi anni.
State capacity
Ma sono gli stravolgimenti delle ultime settimane a restituirci un’immagine a tinte ancora più fosche di quella che con un’espressione inglese fortunata quanto spesso fraintesa si chiama “State capacity.” La capacità dello Stato è da intendersi non solo come “abilità” ma anche come quantità e complessità di cose che lo Stato riesce a fare o gestire. È quindi uno dei parametri più importanti per comprendere i modi e i mezzi con cui uno Stato riesce ad attuare politiche pubbliche, a gestire crisi ed emergenze, a presidiare il territorio o riscuotere le tasse.
In linea di principio, la capacità dello Stato non dipende dalla democrazia: uno Stato può avere grandi “capacità” senza necessariamente essere democratico. Per contro, un paese può essere democratico e avere una scarsa capacità dello Stato. In entrambi i casi, la capacità si misura anche e soprattutto sulla base delle risorse e degli strumenti a disposizione dello Stato. E qui il discorso si collega agli sviluppi più recenti negli Stati Uniti, ma come vedremo anche all’Italia.
Quello a cui stiamo assistendo in America per ordine di Trump e per mano di Elon Musk, suo sodale a capo del Dipartimento dell’Efficienza Governativa, è un sistematico tentativo di smantellare l’impalcatura che sostiene la capacità dello Stato federale: ministeri, agenzie, funzionari e perfino sistemi di pagamento. La ragione non è solo una lotta senza quartiere agli sprechi e ai privilegi. È anche e soprattutto una condanna senza appello (e senza processo) alla presunta deriva ideologica della burocrazia stessa che, a detta dei nuovi inquilini nella Casa Bianca, si è intestata battaglie sui temi delle minoranze etniche e di genere.
In questo la capacità dello Stato, da tema tecnico e tecnocratico per eccellenza, diventa un terreno di quelle “battaglie culturali” che hanno avvelenato l’anima americana e ora arrivano dritte al cuore dello Stato. Quando ci si trova su questo terreno, che il mio collega Olivier Roy chiama “il dominio della norma”, è impossibile fare una disanima fattuale di ciò che gli americani conoscono veramente, di quanto apprendono attraverso la disinformazione imperante o di ciò che sta effettivamente accadendo nei corridoi del Dipartimento dell’Istruzione o dell’agenzia allo sviluppo USAID, due delle prime vittime sacrificali della mannaia di Musk.
E qui veniamo al punto che ci tocca più da vicino. In quello stesso sondaggio dove la fiducia americana verso le istituzioni cala a picco, curiosamente l’Italia è il paese del G7 dove la fiducia nello Stato cresce di più: quasi 20 punti percentuali in un ventennio. Forse inatteso e per questo rivelatore. In questo lasso di tempo, dove si sono alternate la crisi dell’Euro e quella dei rifugiati, una pandemia e almeno due guerre ai confini dell’Europa, l’Italia ha avuto governi di qualsiasi risma e colore: da Berlusconi a Monti, dal populismo giallo-verde a alla tecnocrazia draghiana, da Renzi a Meloni. Difficile attribuire un risultato ventennale alle ricette di un esecutivo piuttosto che un altro. L’ipotesi non peregrina è che il segreto sia proprio nelle istituzioni.
Tendiamo a sottovalutare la fiducia degli italiani verso di esse. Tendiamo soprattutto a dare per scontata la capacità e la continuità della loro azione, specialmente in periodi di grande crisi ed emergenze come se ne sono verificati in questi venti anni. Quello fra gli italiani e le loro istituzioni è un rapporto travagliato e complesso e bisogna sempre prendere certi sondaggi con le molle. Ma c’è da augurarsi che quanto sta accadendo negli Stati Uniti serva da monito ogni qualvolta, troppo spesso a dire il vero, cadiamo nella tentazione autolesionista di svilire le capacità del nostro Stato e di politicizzarne le istituzioni.
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