Fiorenzo Zoccola, l’imprenditore arrestato nell’ambito dell’inchiesta su presunte irregolarità nell’affidamento di alcuni servizi pubblici nel Comune di Salerno, è da ieri agli arresti domiciliari. I giudici hanno accolto l’istanza presentata dall’avvocato Michele Sarno al termine dei due interrogatori-fiume resi dal leader delle cooperative sociali di Salerno, indagato insieme con altre 28 persone tra le quali spiccano il sindaco Enzo Napoli e il consigliere regionale Nino Savastano: quasi 15 ore di colloquio con i pm durante i quali l’imprenditore avrebbe indicato i riferimenti politici delle varie aziende.

I suoi sarebbero stati il governatore Vincenzo De Luca e il figlio Roberto, ma non l’altro figlio e deputato Piero col quale «non c’era affinità». Sia chiaro: i De Luca non sono indagati e per Zoccola come per le altre persone finite sotto la lente d’ingrandimento della magistratura vale la presunzione d’innocenza. La vicenda, però, imbarazza non poco i giustizialisti di sinistra, a cominciare dal quel Movimento 5 Stelle che per anni ha chiesto l’azzeramento della classe politica al grido di «onestà, onestà!» e che ora deve fare i conti con i sospetti connessi al presunto “sistema De Luca”. Ma andiamo con ordine.

Nei suoi colloqui con il procuratore Giuseppe Borrelli e con i sostituti Elena Cosentino e Guglielmo Valenti, titolari dell’inchiesta, Zoccola avrebbe confermato l’esistenza di «un accordo ben preciso tra le cooperative e la politica,  teso a garantire alle prime continuità lavorativa in cambio di voti da parte di coloro che ne sono soci». In questo contesto, l’imprenditore avrebbe ricevuto da Vincenzo De Luca indicazioni per la ripartizione dei voti in occasione delle regionali 2020. E a beneficiarne sarebbe stato soprattutto Nino Savastano, il consigliere eletto con oltre 16mila preferenze che è stato arrestato due settimane fa e la cui posizione sarà oggi al vaglio del Riesame.

È chiaro che queste, al momento, sono soltanto ipotesi investigative che dovranno eventualmente passare al vaglio dei giudici. Fino a quel momento non si potrà muovere alcun addebito, penale o politico, agli indagati così come De Luca e figli. Già adesso, però, non si può fare a meno di notare l’assordante silenzio di quegli esponenti politici che si sono sempre presentati come alternativi al presidente della Regione e che hanno più volte invocato un azzeramento della classe dirigente campana e italiana per mano giudiziaria. Per esempio Valeria Ciarambino, che ha sempre presentato i pentastellati come unico argine allo strapotere deluchiano: dopo aver parlato di «ombre inquietanti sulla gestione di un presunto sistema che rischia di minare fortemente la credibilità della Regione», la leader del M5S nel parlamentino campano si è astenuta da qualsiasi commento sulle dichiarazioni rese da Zoccola. Altrettanto ha fatto il presidente della Camera Roberto Fico, altro alfiere della questione morale. Solo alcuni esponenti salernitani del M5S hanno invocato le dimissioni del rieletto sindaco Napoli e il commissariamento del Comune salernitano.

Che cosa è successo, dunque? Delle due l’una: il M5S ha deciso di chiudere un occhio sull’inchiesta condotta dalla Procura di Salerno, imbarazzato per le illazioni sul conto dell’ex nemico numero uno e ora alleato Vincenzo De Luca, oppure è diventato improvvisamente garantista, dopo anni spesi a invocare più manette e più carcere per tutti (a cominciare dagli avversari politici, ovviamente). La seconda ipotesi sarebbe auspicabile. L’esperienza, però, insegna che la più credibile resta la prima.

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.