Se scappano delle carte segrete dall’ufficio di un Procuratore, quel Procuratore ne è responsabile, in quanto custode naturale della riservatezza dell’inchiesta. Raffaele Cantone, capo dell’ufficio di Perugia, che si è rivelato il colabrodo da cui sono “scappati” 15 faldoni zeppi di atti secretati sulla “Loggia Ungheria” e in particolare 167 pagine di richieste al Gip, non può quindi indagare che su se stesso. Ha quindi ragione l’ex magistrato Luca Palamara, il primo danneggiato dalla fuga di notizie, a rivolgersi alla Procura di Firenze, competente per ciò che riguarda le toghe di Perugia, e anche al procuratore generale presso la cassazione, titolare dell’azione disciplinare nei confronti dei magistrati.

Manca all’appello solo il ministro Cartabia, che ha il potere di inviare gli ispettori a mettere il naso in queste gravi violazioni. Potere rafforzato dal giorno in cui il Parlamento e il governo italiano, alla fine dell’anno scorso, hanno recepito in modo definitivo la direttiva dell’Unione Europea sui rapporti tra le Procure e i media.
A coloro che quel giorno brindavano una vocina aveva sussurrato: e le carte passate sottobanco ai cronisti di riferimento? Eccoci qua. Era stato facile profeta chi, leggendo il libro Il sistema, in cui lo stesso Palamara spiegava che a un pm basta avere il “suo” cronista per orientare qualunque i inchiesta, aveva denunciato che difficilmente il metodo sarebbe cambiato. E bisognerà vedere se la ministra guardasigilli, che qualcuno in questi giorni sta cercando di mettere in difficoltà per un’inchiesta genovese, avrà la forza di mostrare che quel provvedimento del novembre 2021 non aveva solo la testa per decidere, ma anche le gambe per camminare.

Ma soprattutto occorre avere la consapevolezza del fatto che certi scoop, certe complicità, non si fondano solo su reciproche vanità, quella del pm di vedere il proprio nome sulla stampa e quella del cronista di farsi bello con i suoi capi. Queste sono piccolezze. C’è, c’è stato, e temiamo ci sarà, a volte, una vera volontà politica, studiata scientificamente, di orientare indagini e inchieste. Non si tirino fuori i cronisti giudiziari, attuali o ex. Alcuni hanno brindato per certe informazioni di garanzia, hanno partecipato al banchetto delle carte che “scappavano” dagli uffici, ben sapendo che cosa si stava bevendo, che cosa si stava mangiando. Non è vero che, anche qualora non ci sia stata la complicità iniziale, il cronista non fa nulla di più che il proprio dovere pubblicando ogni carta che gli capiti in mano. Lo hanno dimostrato gli stessi cronisti del Fatto e di Repubblica proprio con i verbali dell’avvocato Amara, quando le carte erano arrivate nelle loro redazioni filtrate dalla segretaria romana di Piercamillo Davigo. In quei giorni pareva che i fascicoli scottassero nelle loro mani, come mai? Ma allora la selezione c’è, vero colleghi?

Veniamo dunque al fattaccio ultimo arrivato. Il combinato-disposto Procura di Perugia-Corriere della sera-Repubblica ha un unico danneggiato, Luca Palamara. E un rafforzamento delle accuse contro di lui. Certo, il procuratore Cantone, che potrebbe essere assolto sul piano delle responsabilità soggettive, ma condannato su quella oggettiva, la stessa del direttore responsabile di una testata giornalistica, dice che il suo ufficio è la vera vittima. Dice anche che i suoi due sostituti che hanno condotto con lui le indagini sulla “Loggia Ungheria” per cui propone l’archiviazione, cioè Gemma Miliani e Mario Formisano, sono sicuramente innocenti. Pare però anche che né la polizia giudiziaria né gli avvocati siano entrati in possesso di questi 15 faldoni. Quindi, dottor Cantone, il fascicolo che lei ha aperto per la violazione del segreto investigativo, dove pensa che andrà a parare? O sta pensando di indagare davvero su se stesso?

Il fatto è molto grave prima di tutto sul piano formale. Perché sembra uno sberleffo al Parlamento e al Governo che hanno impegnato l’Italia, se pur con anni di ritardo, a diventare un Paese che rispetti i cittadini e la presunzione di innocenza. Ma anche sul piano sostanziale, nei confronti del cittadino Luca Palamara. Con un’accusa che, a parti rovesciate, ricorda quella che si rovesciò nel processo Eni, quando i due pm volevano introdurre nel dibattimento dichiarazioni calunniose che indicavano il Presidente del tribunale come persona “avvicinabile” da parte degli avvocati della difesa. L’ex pm che ha denunciato il “Sistema” è indicato dal solito avvocato Amara come uno che “avvicinava” giudici della cassazione per chiedere informazioni su un processo che riguardava un suo collega. La cosa strana è che questo personaggio ormai screditato da inchieste e sentenze, diventi improvvisamente credibile, se serve. E le sue parole vengano passate a testate e cronisti “di riferimento”, come dice lo stesso Palamara.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.