Giocare, dominare, vincere, dormire, giocare nuovamente. Di questo forsennato gioco della campana, quella rayuela così cara a Julio Cortazar, il Napoli è diventato formidabile protagonista europeo. Contro i Rangers di Glasgow è arrivata la dodicesima vittoria consecutiva in gare ufficiali – record storico del club – e la quasi certezza del primo posto nel girone di Champions, a meno di improbabili rovesci catastrofici a Liverpool.

Mattatore assoluto è stato il figlio d’arte Giovanni Simeone che, nella serata più amara per il padre eliminato in modo surreale al “novantamillesimo” minuto di una partita brutta contro l’Enitracht, ha sfoderato in poco più di un quarto d’ora la sua prima doppietta in Champions. Un predestinato, accompagnato al trionfo da una squadra nuova per sei undicesimi rispetto a quella che aveva vinto a Roma domenica scorsa. Mancava Osimhen, la furia nigeriana capace di ammutolire l’Olimpico con una prodezza balistica da antologia; e mancava Kvaratskhelia, celebrato perfino dal New York Times per il suo devastante ed elegantissimo impatto nel calcio che conta. Ma delle assenze non si è accorto nessuno, perché il Napoli ha sfoderato una prima parte di gara impressionante per qualità tecnica e intensità, riducendo il secondo tempo a poco più di un allenamento.

Un turn over massiccio e vincente, al quale Luciano Spalletti è stato costretto da un calendario folle, che per fare spazio ai mondiali e alle TV costringerà gli azzurri a giocare contro il Sassuolo a meno di settanta ora dal match contro gli scozzesi. E poi di nuovo in scena a Liverpool martedì e a Bergamo sabato prossimo. Una rayuela che farebbe girare la testa a chiunque, ma alla quale il Napoli sembra adattarsi con gioia e tremenda determinazione. Anche in città si gira in tondo ma più che altro per ritornare sempre al punto di partenza, come nel gioco dell’oca. “A Bagnoli parte la bonifica” è il titolo semestrale periodico di qualunque discreto quotidiano locale. Speriamo solo che almeno stavolta si faccia sul serio. “Con il nuovo treno, corse ogni 12 minuti”, aveva annunciato il sindaco Gaetano Manfredi.

Il giorno dopo, metropolitana in tilt e tutti a piedi, disperatamente. Meno male che l’ex sindaco a distanza Luigi de Magistris aveva già fatto il comunicato con cui si era assunto il merito della rivoluzione dei traporti. C’era il rischio che qualcuno si dimenticasse degli imperdonabili paragoni con il Giappone. La nuova amministrazione si sbatte abbastanza, ma i risultati latitano sul versante della vita di tutti i giorni, e si fa fatica a spiegare ai napoletani che tra cinque anni sarà tutto diverso. È un po’ come il torneo dell’ATP sul lungomare, perfetta metafora del “vorrei ma non posso” cittadino: annunci roboanti di “evento mondiale” e poi campetti improvvisati, ingobbiti e scivolosi; indegni persino di un torneo amatoriale. Parlare meno, giocare meglio. Come fa il Napoli.