Il naufragio che si poteva evitare
Giù le mani dalla Guardia Costiera: Salvini si dimetta per salvarla
«Considero un elemento necessario della nostra democrazia che i cittadini del nostro Paese abbiano fiducia nel sistema politico. Questa si chiama responsabilità politica. Per questo rassegno le mie dimissioni dalla carica di Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti. È quello che sento il dovere di fare come minimo segno di rispetto per la memoria delle vittime» afferma il ministro in una nota. No, non sono le parole di Matteo Salvini, ma quelle del suo collega greco, Kostas Karamanlis, dopo il disastro ferroviario che ha causato decine di morti in Grecia.
Anche lì c’è un governo di destra, capeggiato da Mitsotakis. Ma questo ministro, che probabilmente non ha nemmeno responsabilità oggettive e dirette in quello che potrebbe essere un incidente causato da errore umano, comunque, di fronte a una tragedia simile, non ha potuto fare altro che dimettersi. Perché, al di là di qualsiasi falla nel dispositivo tecnico, al di là dei malfunzionamenti, al di là della “tecnica”, c’è la responsabilità politica che, certo, non va confusa con l’etica personale, con la propria coscienza, con la morale, ma nemmeno può esserne totalmente estranea.
In coscienza, se Salvini volesse davvero tutelare la Guardia Costiera italiana nell’immagine e nell’onorabilità, dovrebbe dimettersi. Per proteggere innanzitutto gli uomini e le donne che lui temporaneamente, e senza alcun merito particolare, dirige. E invece, con il solito modo di quello che tira il sasso ma poi nasconde la mano, si lancia nella difesa a spada tratta via social della Guardia Costiera, contribuendo però così a far pensare che il problema stia proprio lì. In Italia, per rispondere ad un Paese sgomento, alla società scossa nel profondo da quelle bare – conseguenza di un evento nel quale, come minimo, qualcosa non ha funzionato – chi è al “comando” non si dimette mai. Si dimettono per cose che riguardano gli equilibri tra di loro, si dimettono per gli scandaletti, per le schermaglie. Per 100 morti no.
La Guardia Costiera del nostro Paese salva migliaia e migliaia di persone. Quella greca respinge in mare i bambini. Quella tunisina, che non esiste ma le cui funzioni sono svolte dalla Marina militare, affonda con speronamenti le barche di migranti. I maltesi, che non hanno nemmeno ratificato per intero la Convenzione di Amburgo sul soccorso in mare, lasciano alla deriva le imbarcazioni in difficoltà, omettendo il soccorso. Dunque non scherziamo: la Guardia Costiera italiana non merita davvero di essere un capro espiatorio della politica. Ma a parte la vigliaccheria politica, che è l’opposto della responsabilità politica, ho paura che l’atteggiamento del “capitano” che abbandona la nave per primo, nasconda anche un inconfessabile secondo fine: far fuori persone come l’Ammiraglio Nicola Carlone, oggi a capo del Comando Generale delle Capitanerie di Porto.
Carlone è quello che per primo, già nel 2015, segnalò i rischi connessi alla subordinazione dell’attività di “Search and Rescue” – di soccorso – a quella di “law enforcement” – di polizia. «Se un’imbarcazione carica di migranti viene trattata da attività di polizia, e non di soccorso, normalmente lo stato costiero si limita al monitoraggio della situazione, allo scopo di verificare se la destinazione appaia essere quella di detto stato costiero». Sono parole sue, durante un’audizione al Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen. L’allora Contrammiraglio segnalava la rilevanza dell’intreccio, come oggi lo chiama Piantedosi, tra le due modalità di approccio.
Nessun uomo di mare, come Nicola Carlone, sarà mai omogeneo con una linea politica che, in virtù della logica dei respingimenti, depotenzia o rende inefficace “soffocandolo”, il soccorso in mare. Nel search and rescue si soccorre e si portano a terra e in salvo, le persone. Anche in acque internazionali, anche oltre la zona di competenza italiana. Nel law enforcement no, proprio come è successo a Cutro. Per questo “Giù le mani dalla Guardia Costiera” dobbiamo dirlo noi. E dobbiamo dirlo a Salvini, che sta scappando anche dalla richiesta di rispondere al Parlamento. Manda avanti Piantedosi, altra sua emanazione, ma lui scappa. È il tempo di un corale: “Adesso tu torni a bordo, cazzo!”.
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