La Procura ha chiesto alla Guardia costiera e alla Guardia di finanza gli atti relativi alla loro attività nelle ore antecedenti il naufragio del barcone di migranti. Il fascicolo, aperto con il pm Pasquale Festa, è contro ignoti né sono noti i capi di imputazione: la delega è stata data dal procuratore Giuseppe Capoccia ai Carabinieri che stanno raccogliendo del materiale sul ‘buco’ di almeno sei ore, tra le 22.30 di sabato 25 febbraio, quando l’aereo di Frontex ha emesso il dispaccio con cui segnalava la presenza di una imbarcazione nello Ionio.

Chi doveva attivarsi e non lo ha fatto, e perché? Frontex, che con le sue rilevazioni aeree agli infrarossi aveva individuato e segnalato il natante in pericolo prima che affondasse, il suo dovere lo ha fatto. Poi a chi toccava intervenire? Ciascuna delle istituzioni che hanno ricevuto l’allerta avrebbe potuto attivarsi. Il dubbio che gli inquirenti devono fugare è se qualcuno, dall’alto, ha dato indicazione di non intervenire. O anche solo di aspettare, di entrare in azione solo all’ultimo, in caso estremo. L’inchiesta dovrà fare luce su responsabilità e competenze che i vari “attori” si stanno rimpallando da giorni, e capire se dietro la strage di Cutro vi sia stato un errore di valutazione, un intervento di salvataggio ipotizzato quando era ormai tardi, o se i comportamenti tenuti dalle varie parti non siano penalmente rilevanti. Dopo avere analizzato le carte, la Procura potrebbe decidere di aprire un fascicolo con un’ipotesi di reato specifica.

Ieri il Comandante della Capitaneria di Porto di Crotone, Vittorio Aloi, parlando con i giornalisti che gli chiedevano se la Guardia costiera è già stata sentita dalla Procura, ha replicato: «Saremo sentiti e ci farà piacere chiarire, chiariremo a chi dovere quando ce lo chiederanno». È probabile, a questo punto, che sarà sentito presto. Parlando con i giornalisti, che gli domandavano perché la Guardia costiera non fosse entrata in azione nonostante la segnalazione di Frontex di una imbarcazione ‘distress’ (in pericolo), Aloi aveva spiegato: «Non mi risulta che si trattasse di una segnalazione di distress, sapete che le operazioni le conduce la Guardia di finanza finché non diventano comunicazione di Sar (Search and Rescue, ovvero salvataggio, ndr). Io non ho ricevuto alcuna segnalazione». Ma soprattutto Aloi aveva ricordato che quel giorno “c’era mare forza 4“, ma che “le motovedette avrebbero potuto navigare anche con mare forza 8“.

Le responsabilità del mancato intervento ricadono sul Ministero delle Infrastrutture e Trasporti? La Guardia Costiera, che rimane in mano al ministro Salvini, poteva intervenire e non lo ha fatto per un input politico, un diktat gerarchico? Il generale Leonardo Tricarico, ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica e attuale presidente della fondazione Icsa, è chiaro: «La Guardia Costiera in materia di ricerca e soccorso in mare è il dominus assoluto – ribadisce il generale Tricarico – nessuno vi si può sostituire: né, tanto per fare due esempi di palesi trasgressioni occorse, le onlus, né la Marina Militare. Per ogni evento è il competente organismo di controllo delle Capitanerie che dirige, coordina, dispone. Se non è chiaro questo dovremo in futuro assistere ad altri episodi, anche tragici, in cui poi non sarà facile risalire alle responsabilità, magari da parte della magistratura».

Il procuratore Capoccia, che è stato anche consulente di Giorgia Meloni quando era Ministra per le politiche giovanili, dovrà adesso ricostruire esattamente i fatti e le responsabilità. Quel che sa è che poco dopo la mezzanotte di sabato scorso sono partiti due mezzi della Guardia di finanza, la V5006 da Crotone e il pattugliatore Barabrese da Taranto. Ma il mare era troppo agitato, forza 5 a tratti forza 6, e le motovedette delle Fiamme gialle sono dovute rientrare. Le loro imbarcazioni non sono destinate ai salvataggi, ma da ‘intercettazione’, dunque non sono equipaggiate adeguatamente. Verso le due un nuovo tentativo, anche questa volta vano.

Mentre fino a quel momento le motovedette della Guardia costiera rimangono al porto. Alle 4.10 arriva al 112 una telefonata da un numero internazionale, in inglese. La chiamata, presa dal vicebrigadiere Lorenzo Nicoletta, arriva dalla imbarcazione che si trova a meno di cento metri dalla costa di Steccato di Cutro (Crotone). Sul posto arrivano i Carabinieri del Nucleo Radiomobile, capiscono immediatamente la gravità del fatto. Il vicebrigadiere Gianrocco Tievoli e il carabiniere Gioacchino Fazio si gettano in acqua in divisa e riescono a salvare cinque migranti. Ma davanti ai loro occhi ci sono corpi ovunque. Anche di un neonato di sei mesi. ‘’L’ho preso in braccio sperando che fosse ancora vivo’’, dice Tievoli con un filo di voce. Invece il piccolo era già morto. Il primo di una lugubre serie.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.