Esteri
Gli Usa sono pronti a sfilarsi dall’Unifil? La missione dell’Onu è stata disastrosa

Che si tratti di vociferazioni senza troppo fondamento, come insinuano alcuni, o invece di decisioni già assunte e che devono solo essere formalizzate, come sostengono altri, è certa in ogni caso la revisione dell’atteggiamento statunitense rispetto al futuro dell’Unifil, la Forza di interposizione in Libano delle Nazioni Unite. Se davvero gli Stati Uniti, come con insistenza si ipotizza, vagheggiano di farla finita con una missione che ha ampiamente dimostrato la propria inconsistenza, quel cambio di registro avrebbe meno la portata del sabotaggio isolazionista di cui si straparla e, assai più, il senso semplice e grave di una notarile e fin troppo tardiva registrazione del fallimento.
Durante ormai quasi mezzo secolo di inefficienze e dilapidazioni, una politica di rinnovo dei mandati straccamente inerziale ha perpetuato senza nessun frutto, e anzi con parecchio danno, la presenza degli accampamenti dell’Unifil in Libano. Nei decenni, il sodo compito originario fissato nella risoluzione onusiana (“assistere il governo del Libano nel garantire il ritorno della propria autorità effettiva nell’area”) si sfibrava nella realtà di un Paese in preda ai liberi traffici del proxy iraniano, il quale consolidava il proprio potere di giogo all’interno e di minaccia all’esterno, verso Israele, con le Nazioni Unite alternativamente distratte o complici in quella scena di turbolenza permanente.
Non era necessario arrivare alle immagini dei mesi scorsi, con le bocche dei tunnel aperte a un tiro di fionda dalle torrette dell’Unifil e con i depositi di armi di Hezbollah scovati in ogni villaggio di confine, per sapere che – colpevolmente o no – la presunta forza di interposizione aveva mancato di adempiere a tutti gli scopi della propria missione. Non aveva contribuito in nessun modo all’affermazione dell’autorità effettiva del governo libanese nell’area e non aveva impedito che essa fosse “utilizzata per attività ostili di qualsiasi tipo”. Chi giudicasse inopportuno porre rimedio a questo bilancio disastrosamente fallimentare chiudendo la missione punto e basta dovrebbe suggerire quale possa e debba essere la risposta alternativa.
L’impressione è che neppure se ne ipotizzi qualcuna perché, puramente e semplicemente, si riteneva che le cose su quel fronte andassero bene così e che debbano continuare così, con un costosissimo dispositivo posto a inerte difesa del disordine e dell’instabilità dell’area. Attribuire alla perfidia di una cospirazione israelo-statunitense la possibile revoca di questa disastrosa missione, anziché all’evidenza di un rendiconto inevitabile, è solo una delle tante scempiaggini in cui ci si dilunga quando si discute della crisi in quell’area.
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