Nello scrivere di questo libro di Alessandro Giuli (Gramsci è vivo-Sillabario per un’egemonia contemporanea, Rizzoli) bisogna preliminarmente sgombrare il campo da alcuni equivoci. Il primo: queste pagine c’entrano relativamente con la nuova situazione politica nella quale per la prima volta nella storia repubblicana la destra è al governo. Cioè, pur sapendo bene che Giuli, direttore del museo Maxxi di Roma, è probabilmente l’intellettuale di destra più brillante, queste non sono le tesi congressuali e tantomeno un manifesto politico di Fratelli d’Italia.

L’aspirazione di questo libro è ben più alta. Anche perché, già che ci siamo, la riflessione dell’autore pare avere ben poco a che fare con la realtà di questa destra al potere che pare più interessata a una pratica primitiva dell’egemonia più mossa da un senso di rivalsa storica che a elevare il confronto ideale. E perciò metteremmo in guardia, se lo potessimo, i dirigenti di FdI a travestirsi da improvvisati “giulisti”, così come a sinistra si farebbe bene a prendere sul serio queste riflessioni scartando il fastidio dell’interlocuzione con un’ipotesi di ricerca culturale di destra. Il secondo equivoco viene dal titolo che esalta Gramsci e che può fare pensare ad una appropriazione indebita, quasi un sacrilegio, del pensiero del filosofo comunista da parte di un intellettuale di destra. Giuli invece capisce che la lezione teorica di Gramsci, che questi ovviamente riferiva alla classe operaia e al suo partito, contiene un nucleo durissimo e diremmo immortale che riguarda il nesso tra politica e cultura nell’ambito della strategia per la conquista del potere (la famosa “egemonia”, concetto in realtà più scivoloso e difficile di quanto comunemente si pensi).

Tutto ciò premesso, qual è il punto? Sfrondando il libro dalle molteplici e anche affascinanti immersioni della realtà nella Storia di lunghissima durata che sono tipiche di Giuli (Roma più che la Grecia), il nocciolo ci pare stia nella ricostruzione di un pensiero dominato dall’assillo del dialogo. Attenzione, siamo qui all’opposto di chi teorizza il superamento di destra e sinistra: il dialogo è per sua natura tra opposti. Si tratta però di superare incrostazioni massimalistiche a sinistra e nostalgici riflessi a destra per una, diciamo così, interazione virtuosa nel nome della libertà, della democrazia, della Costituzione. «La promozione del dialogo – scrive il direttore della Maxxi – deve diventare la prima bandiera di una destra che voglia provare a fare un po’ la sinistra» che è «troppo importante per lasciarla alla sinistra e parimenti la destra è troppo importante per lasciarla alla destra», per cui «è arrivato il momento di guardarsi negli occhi». E tutto ciò ha molto a che fare con la cultura «come forma etica del pensare».

Siamo nel cuore del tanto citato Norberto Bobbio. In questo quadro la ricerca si sposta sul punto di mediazione possibile tra il polo dell’eguaglianza e quello della libertà, questione sulla quale il pensiero politico si arrovella da secoli, che per Giuli «dovrebbe nascere da quella “fraternità nazionale” insita nelle articolazioni della società civile»: ma qui il discorso, antichissimo e modernissimo, non può che essere provvisorio. E, va ripetuto, contraddetto da una realtà che va nel senso di una sempre maggiore contrapposizione tra progressismo e sovranismo, sicché lo scritto di Giuli si presenta più come speranza che come analisi effettuale. Ma è comunque una ricerca importante e forse decisiva, per la destra. E non solo per lei.