“In cauda venenum”: ciò che sta accadendo con le dichiarazioni di Berlusconi sui ministri da assegnare a Forza Italia e i rapporti “ dolcissimi” con Putin, ma soprattutto con le successive dichiarazioni sulla guerra e su Zelensky, definite orribili anche in sede europea, è sembrato avere riportato indietro le lancette degli orologi che già stavano per segnare la fine concorde delle trattative tra le tre forze della maggioranza di destra-centro per la formazione del nuovo Governo.

Tuttavia, se Berlusconi si fosse proposto di rafforzare la figura della premier “in pectore” Giorgia Meloni, quanto alla sua visione dell’Unione europea, della Nato e di tutti gli alleati, non avrebbe potuto far meglio di quanto, invece, con un intento forse opposto, ha fatto. Oggi vedremo gli sviluppi e le possibili conclusioni delle consultazioni per la formazione dell’esecutivo. Ma sbaglierebbe chi volesse puntare sin d’ora sulle pur non inventate difficoltà nell’alleanza, maggioritaria che, invece, ha i presupposti di vario tipo per ricomporsi. Però la vicenda Berlusconi-Ministero della Giustizia-Putin non solo ha attirato diffuse critiche, pure dalla stessa area della destra, ma sta finendo per far passare in secondo piano, nel dibattito pubblico, i gravi problemi economici e sociali che stiamo vivendo.

E ciò, mentre il modo in cui è stato di fatto rilanciato, dall’ex presidente del Consiglio, il rapporto con Putin (e, dunque, con la Russia), magari nella prospettiva di svolgere un qualche ruolo di mediazione a proposito della guerra contro l’Ucraina, rischia di creare qualche spaccatura anche nel campo delle importanti iniziative di mobilitazione con manifestazioni per contribuire ad arrivare almeno a un “cessate il fuoco”, nell’intento di pervenire, poi, a una condizione di pace. Per fortuna, il livello infimo ormai della credibilità delle tesi al riguardo del capo di Forza Italia è un sicuro antidoto.

Fra poco conosceremo i nomi dei futuri ministri che saranno nominati dal capo dello Stato, su proposta di Giorgia Meloni se a lei sarà conferito l’incarico di premier, come si prevede. La questione riguardante i tecnici da designare ministri sembra sia stata superata, essendo ormai scomparse pure dalle cronache le elencazioni di autorevoli esponenti non politici in predicato di assumere cariche ministeriali. Ciò ha riguardato in particolare il cruciale Ministero dell’economia (Mef). Tuttavia, non era stato ben valutato che personaggi ritenuti tecnici avrebbero potuto partecipare a un Governo politico solo se avessero condiviso le linee generali e i programmi di un tale Governo, l’ispirazione ideale delle forze che lo compongono e la necessità che le proprie proposte fossero sottoposte a un vaglio non solo tecnico, ma anche politico, della rispondenza alle strategie del governo stesso.

Ciò, naturalmente, vale per qualsiasi governo, di destra, di sinistra, di centro. In più non si è tenuto conto che lo Stato e le sue proiezioni, in particolare l’Unione europea, si serve anche da altre fondamentali postazioni, quale, per esempio, la Bce, per riferirci al nome che ha ricevuto in questi mesi sulla stampa numerosissime citazioni come il migliore candidato al Mef: Fabio Panetta, una personalità di assoluto prestigio per la rara competenza, le capacità e l’esperienza. Nella consapevolezza di tali problemi, in corso d’opera, dalla maggioranza uscita dalle urne si è poi parlato di “ tecnici di area”, una figura certamente accettabile rispetto a quella del tecnico puro che debba aderire a un governo politico implicitamente o esplicitamente sposandone natura e programmi.

La conseguenza principale è stata la candidatura del leghista Giancarlo Giorgetti, Ministro dello Sviluppo economico del Governo uscente, a titolare del Mef. Giorgetti, che è un politico di lungo corso, viene considerato anche un tecnico per l’economia, dunque risponde pienamente alla configurazione anzidetta. Naturalmente, lo si dovrà valutare quando sarà all’opera, pur partendo da un dato che è impossibile nascondere: la coppia Meloni-Giorgetti non è pari a quella uscente Draghi-Franco. Lo si sottolinea qui, pur non avendo affatto mancato di esprimere critiche e dissensi a quest’ultima accoppiata quando è stato necessario. Dunque, all’interno e, soprattutto, in Europa e a livello internazionale, Giorgetti, in prima battura, e la premier, poi, dovranno conquistare una credibilità e un’immagine che saranno fondamentali per il Paese.

Una parte dipenderà anche da come procederà la stessa formazione del governo, come la premier in pectore reagirà a pressioni quali quelle di Berlusconi, e, poi, dal programma che sarà esposto alle Camere per la fiducia e con esso la squadra complessiva che sarà formata. La politica estera, e soprattutto, la posizione sulla guerra saranno cruciali; da esse scaturirà subito un giudizio sull’affidabilità e la tenuta dell’esecutivo. Poi si dovrà affrontare la formazione del bilancio per il 2023, mentre si profilerebbe, da parte di alcuni previsori, una possibile recessione e le proiezioni della Banca d’Italia segnalano un prezzo del gas, nel prossimo anno, a 190 euro al megawattora, nello scenario di base, aumentato almeno del 50 per cento nello scenario avverso; l’inflazione resterà alta anche nel 2023 e non è del tutto esclusa la possibilità di una stagflazione.

Il prossimo 27 ottobre probabilmente la Bce aumenterà ulteriormente i tassi di riferimento, lontani come sono, nell’area, i prezzi rispetto al 2 per cento che rappresenta il target al quale l’Istituto deve tendere per assolvere il compito del mantenimento della stabilità monetaria (e finanziaria). Al tempo stesso, dovrà valutare il rischio di aggravare, con l’aumento del costo del denaro, le già rilevanti difficoltà della crescita. Un coordinamento tra politica monetaria e politica economica si impone. Ma, prima ancora, pur tenendo conto delle misure anti-crisi da varare per il gas, all’esame di Bruxelles in questi due giorni, e che, per la verità, costituiscono solo un incerto passo avanti, al nuovo Governo spetterà predisporre misure urgenti non soltanto con specifici aiuti – ormai cominciano ad essere previsti pure prestiti bancari per il pagamento delle bollette – ma agendo sul sostegno alle imprese e alle famiglie in una logica strutturale.

Con quale equilibrio dei conti pubblici? È il punto più delicato da affrontare dato il livello del debito, che ha evocato in questi mesi la questione dello scostamento di bilancio, pur essendo la via maestra quella di una integrazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza o quella di altre forme di raccordo con l’Unione, a cominciare dal rilancio del piano “Sure” finalizzandolo alle misure per l’energia, ivi compresa l’esclusione degli investimenti pubblici dal vincolo del pareggio di bilancio.

Insomma, al nuovo Governo e al “duo” Meloni-Giorgetti, se saranno nei rispettivi ruoli, nell’ordine, per l’incarico e la nomina da parte del Presidente della Repubblica e poi per il voto di fiducia, si presenterà subito una prova di fuoco che fornirà una prima importante indicazione sulla capacità di governo in uno “stato di eccezione” quale può ritenersi ancora la situazione attuale in Italia e nell’Unione. Decidere la destinazione delle risorse, in prima battuta, utilizzabili – 30 miliardi – e il livello del deficit sul quale imperniare la manovra di bilancio sarà il primo biglietto da visita che permetterà di valutare l’operato iniziale dell’esecutivo e di avere un’indicazione di come saranno affrontati i classici primi 100 giorni di attività.