Ritorna nelle cronache il possibile ruolo di Ministri tecnici. Nell’ipotizzare un’affermazione, nella competizione elettorale, del centro-destra – da assumere tuttavia con ampio beneficio d’inventario, non essendo opportuno vendere anzitempo la pelle dell’orso – sulla stampa si indicano alcuni personaggi (Roberto Cingolani, Fabio Panetta, Stefano Pontecorvo, Luigi Buttiglione) per ricoprire cariche ministeriali in un eventuale Governo Meloni. Essi avrebbero la funzione, soprattutto, di rassicurare mercati e istituzioni, garantire la continuità con l’Esecutivo Draghi, operare scelte, con l’autorità del tecnico, che il politico puro avrebbe difficoltà a compiere e, prima ancora, a progettare.

Governi cosiddetti tecnici sono stati sperimentati, sempre ammesso che possa esistere il tecnico puro e non sia anche un soggetto politico – “zoon politikon” – nel senso alto del termine. E’ dubbio che l’Esecutivo Draghi si possa considerare, secondo la comune accezione, un Governo tecnico. Comunque, su di esso, qui è quantomeno sospeso il giudizio. Più vicini alla definizione in questione furono il Governo Ciampi del 1993 e, poi, quello Dini del 1995: sia pure in condizioni diverse, con misure differenti per l’importanza, gli impatti e i segni lasciati, si tratta di Esecutivi che ben meritarono dell’Italia. Naturalmente, Ciampi, in particolare, non si può dire non avesse una propria visione politica, avendo militato nel Partito d’Azione ed essendo stato vicino alle formazioni partigiane nella seconda guerra mondiale. Comunque, quelli furono Governi che agirono sulla base di un programma, per larga parte di emergenza, proposto dai rispettivi Presidenti, dopo l’incarico loro conferito, in sequenza, dal Capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro.

Nel caso dell’ora ipotizzato Esecutivo, i tecnici, con la loro funzione legittimante che di per sé da un voto non positivo al Governo bisognoso di tale legittimazione, aderirebbero, se accettassero, a un’impostazione programmatica e alla stessa identità dei partiti che formerebbero la compagine governativa e, più in particolare, del partito leader della coalizione che esprime il presidente del Consiglio. Ciò non vi è dubbio sia ben presente a quegli esponenti che compaiono ripetutamente nelle cronache, candidati o prescelti, magari “inaudita altera parte”, alle cariche di cui si è detto. E vi è da ritenere che essi valutino bene il significato della loro adesione a una specifica maggioranza perché, alla fin fine, con tutti i possibili temperamenti, deroghe ed eccezioni, di una siffatta adesione si tratterebbe. Certamente, ciò non muterebbe la capacità, la competenza, l’esperienza e l’idoneità di questi personaggi – alcuni dei quali di rilievo internazionale, si pensi al membro dell’Esecutivo Bce Fabio Panetta – ma chiarirebbe che essi si considerano, per la loro visione, riconducibili a un determinato schieramento, sia pure con la propria autonomia.

Tutto da verificare, dunque, anche con riferimento all’opera di intermediazione che, sempre secondo le voci non confermate, sarebbe svolta da alcune personalità per sostenere l’opportunità di determinate designazioni e per convincerne i “politici”. Del resto, vi fu un tempo in cui agì a livello non solo parlamentare una schiera di autorevolissimi accademici ed esperti che si denominarono come indipendenti di sinistra eletti nelle liste dell’allora Partito comunista. Personaggi come Luigi Spaventa, Claudio Napoleoni, Gustavo Minervini, Vincenzo Visco, Filippo Cavazzuti, Guido Rossi, per citarne solo alcuni, tacendo di altri vicini alla sinistra ma non parlamentari (per es. Federico Caffé, Paolo Sylos Labini), aderirono motivatamente a questo schieramento, mantenendo uno status di indipendenza. Alcuni di essi ricoprirono pure cariche di Governo.

Il raffronto con l’oggi non è possibile, se non con alcune personalità odierne, per il resto notevole essendo la distanza, sotto tutti i punti di vista, con quella schiera di accademici e intellettuali di alto livello. Insomma, non si può immaginare, da parte delle persone ora candidate d’ufficio, come sembrerebbe, a cariche varie una sorta di “trahison des clercs”. Se esse, però, o alcune di esse aderiscono alla chiamata, da qualsiasi parte venga, quale che siano i vincitori della competizione elettorale, gli aderenti difficilmente potrebbero mantenere la loro terzietà, in nome di una autonomia della tecnica e dei saperi. Ciò comporterebbe anche privare l’Italia di uomini che possono svolgere un ruolo di grande rilievo in autorevoli istituzioni, italiane, europee e globali, come nel caso di Panetta che gode di un prestigio e di una credibilità non comuni, anche in sede internazionale.