Nell’incertezza generale sul destino del Governo Draghi almeno due cose sembrano chiare. Il movimento cinquestelle, nella persona del suo capo politico e della gran parte del gruppo dirigente, non intende fare spontaneamente retromarcia, ma intima al Presidente del Consiglio di accettare le proprie condizioni (quali non è chiarissimo, ma tant’è!). La seconda è che il movimento subirà un’ulteriore scissione, soprattutto, a quanto è dato di capire, tra i propri parlamentari della Camera. Queste due notizie non sono ancora sufficienti a diradare le nebbie. Perché tutto dipenderà dal consuntivo politico che, dalla loro combinazione, Draghi potrà trarre.

Ricordiamo che la pregiudiziale posta dal Presidente del Consiglio escludeva la continuazione della propria esperienza senza i Cinquestelle. Non di ubbìa si tratta, ma evidentemente di una valutazione politica. Con le elezioni alle porte le fibrillazioni dentro e fuori la maggioranza sono destinate a aumentare. Avere una maggioranza di “unità nazionale” assicurerebbe una navigazione meno turbolenta, consentendo al premier, come ha fatto finora, di mediare tra le divaricazioni interne, giocando un po’ di sponda con l’uno contro l’altro partner e facendo una sintesi che scontenta e accontenta equamente un po’ tutti.

Per Draghi, a quanto pare di capire, l’uscita dei Cinquestelle romperebbe questo già precario equilibrio e, in aggiunta, aprirebbe un ulteriore fronte di opposizione al governo. E mentre sinora, anche su quel versante, l’Esecutivo aveva trovato un equilibrio accettabile con l’unica opposizione (quella di FDI), che, senza rinunziare a tutte le proprie rivendicazioni, si è dimostrata comunque capace di fair play, non è detto che lo stesso accadrebbe con la moltiplicazione dei fronti di attacco al governo, soprattutto, vale la pena ribadirlo, in tempo pre-elettorale. Come tanti hanno notato, le due notizie che provengono dalla galassia pentastellata, però, potrebbero cambiare l’apparente stallo.

Uno stallo aggravato dalla posizione, esattamente speculare a quella di Draghi, su cui si sono assestati Forza Italia e Lega: mai più governo con i Cinquestelle. Il punto è dunque la risultante politica della combinazione tra fermezza di Conte e emorragia di dissidenti. Se quest’ultima sarà tale, numericamente e soprattutto politicamente, da far ritenere a Draghi che avere i Cinquestelle (o quel che resta) fuori dal governo non sarà più una minaccia, è possibile che egli possa modificare la propria posizione e “ripensarci”, anche in forza delle pressioni che da ogni parte gli sono indirizzate perché continui. Su questo, Conte ha ragione, benché lo dica per altre ragioni, il pallino è nella mani di Draghi e della sua valutazione politica del combinato disposto tra fermezza ed emorragia nella vicenda dei pentastellati. Quale sia la sua idea non lo sapremo sino a domani.

Nel frattempo si prepara il piano B. L’ipotesi dell’insuccesso. A leggere alcuni analisti delle cose del Quirinale, e in particolare Marzio Breda sul Corriere di ieri, sembrerebbe che una soluzione su cui si sta lavorando sia quella di uno scioglimento secco, senza giro di consultazioni, recuperando il precedente del Governo Ciampi del 1994. Un precedente abbastanza eccezionale nella prassi repubblicana, giustificato da una situazione eccezionale. Non meno, si potrebbe dire, di quanto non lo sia quella di oggi. In quell’occasione in effetti il Presidente Scalfaro non procedette a giri di consultazioni, ma, sentiti i Presidenti delle Camere, come richiede l’art. 88 della Costituzione, procedette all’immediato scioglimento, inviando contestualmente ai Presidenti dei due rami del Parlamento una lettera per spiegare le ragioni di quella decisione. Un altro aspetto rende quell’episodio molto peculiare e, forse, interessante anche per l’oggi. Il Presidente della Repubblica non si limitò, come normalmente fa, a prendere atto delle dimissioni e a invitare il governo a rimanere in carica per il disbrigo degli affari correnti, ma, espressamente, respinse le dimissioni di Ciampi, che non le aveva qualificate “irrevocabili”.

La differenza non è di poco conto. Un governo nella pienezza dei poteri in periodo di Camere sciolte non può certo fare tutto ciò che potrebbe fare se la legislatura fosse normalmente in corso. Non potrebbe ad esempio presentare nuovi progetti di legge, perché il Parlamento non è nel pieno dei poteri, così come, molto probabilmente, non potrebbe porre la questione di fiducia (sebbene la fiducia sia spesso solo un espediente tecnico per accelerare le decisioni parlamentari e in particolare la conversione dei decreti-legge), perché il Parlamento non avrebbe il potere di conferirla o di negarla. Potrebbe però esercitare con maggiore legittimazione i poteri che gli sono propri anche nella gestione degli affari correnti (adottare decreti-legge, decreti legislativi e altri decreti-attuativi la cui approvazione è indifferibile soprattutto in relazione agli obblighi internazionali ed europei).

Ma soprattutto potrebbe compiere le attività preparatorie per la manovra di bilancio che il nuovo Parlamento dovrà fare e svolgere la propria attività, sulla scena interna e internazionale, nella condizione di chi non è stato mai sfiduciato (anche e soprattutto perché non esiste una maggioranza che potrebbe sfiduciarlo) e non è nemmeno indebolito dalla deminutio di essere dimissionario e quindi politicamente azzoppato. Il significato politico di una tale circostanza, ancor prima di quello giuridico, non andrebbe affatto sottovalutato. Politicamente, infatti, non si troverebbe in una situazione molto diversa dei leader di un qualsiasi paese con forma di governo parlamentare che continuano a svolgere il proprio lavoro in periodo di elezioni.

Elezioni che magari sono stati loro stessi a provocare, come accade in altri ordinamenti. Ai nostri occhi interni, certo, Draghi non è un leader politico in senso classico, ma certamente lo è agli occhi, più concreti e pragmatici, dei suoi tanti interlocutori internazionali che, riconoscendo la sua reputazione, lo considerano a pieno titolo colui che rappresenta sul piano politico le posizioni dell’Italia. E che in questi giorni non gli hanno fatto mancare le proprie attestazioni di stima. In un frangente così drammatico come l’attuale, anche le scelte politico-simboliche non vanno sottovalutate. Non sorprenderebbe, dunque, che si stia valutando una simile ipotesi.