L’analisi di questa tornata elettorale spagnola si fa abbastanza velocemente: non c’è nessun vincitore, ci sono due partiti che hanno invece perso e due che hanno non vinto, per dirla alla bersaniana maniera.

CHI HA PERSO

Sicuramente ha perso la destra estrema di Vox. Il partito di Santiago Abascal, no vax, negazionista del cambiamento climatico, contro l’Europa e contro i diritti conquistati dalla Spagna liberal in questi anni, ha perso, eccome se ha perso. Rispetto alle elezioni di quattro anni fa perde quasi 3 punti percentuale e, per effetto del sistema elettorale, passa da 52 a 33 seggi. Il verdetto è semplice: la polarizzazione a destra non piace agli spagnoli.

Sicuramente ha perso l’esperimento della sinistra unita sotto la sigla SUMAR. La candidata Yolanda Diaz, volto femminile e femminista della politica spagnola, discussa ministra del Lavoro del governo Sanchez, porta a casa un discreto 12%, si conferma quarto partito (sotto popolari, socialisti e Vox) e vede ridurre la propria rappresentanza parlamentare da 35 a 31. Il verdetto anche qui è altrettanto semplice: agli spagnoli piace poco pure la polarizzazione a sinistra.

CHI NON HA VINTO

I popolari hanno certamente fatto un ottimo risultato, superiore forse anche alle loro aspettative. Il partito guidato da Alberto Núñez Feijóo al momento è cresciuto molto nei consensi passando dal 21% di 4 anni fa (quando la concorrenza di Vox da destra e di Ciudadanos al centro si faceva sentire) ad un ottimo 33% e porta a casa 136 seggi rispetto agli 89 della scorsa tornata elettorale. Non ha però vinto perché non ha i numeri per governare: né ovviamente da solo, né tanto meno con la destra di Vox: insieme infatti i due partiti sono a 169 seggi, 7 in meno dei 176 necessari per avere la fiducia delle Cortes (170 aggiungendo il seggio degli autonomisti della Navarra, partito di centrodestra).

I socialisti se la cavano bene. La scommessa di Sanchez (portare il paese alle elezioni contando sulla paura dell’arrivo di Vox al governo) si può dire che è stata parzialmente vinta: recuperano consensi passando dal 28% di quattro anni fa al 32% di ieri e contro ogni previsione guadagnano pure due seggi rispetto ai 120 della legislatura uscente. Per i socialisti una prospettiva di governo è leggermente più probabile che per i popolari, ma comunque estremamente in salita. Vediamo perché.

I TRE SCENARI DEL DOPO VOTO

Il primo, molto difficile se non impossibile, è che l’incarico di formare il governo venga dato a Feijóo, il leader del primo partito, e che lui provi una strada molto impervia e cioè quella di un governo di minoranza  con l’astensione dei popolari. Ma è davvero difficile se non impossibile che Sanchez potrebbe dare il via libera a un’operazione di questo genere. Perché dovrebbe infatti farlo?

Il secondo scenario, già più probabile ma assai complesso, è che Sanchez riprovi a formare un governo di sinistra. I numeri ci sarebbero ma i socialisti, SUMAR e i partiti indipendentisti che potremo definire “digeribili” non hanno la maggioranza alle Cortes ma si avvicinano molto: hanno infatti 174 seggi contro i 176 necessari. Chi mancherebbe all’appello? Il partito dichiaratamente secessionista Uniti per la Catalogna che, guidato dall’ex presidente della Catalogna Carles Puigdemont, porterebbe in dote 7 voti necessari ad avere la maggioranza. Ma portare gli assai discussi indipendentisti catalani al governo per Sanchez sarebbe un ulteriore prova della maggiore accusa che gli viene mossa, e cioè di essere attaccato al potere, costi quel che costi. Perché l’alleanza con gli indipendentisti catalani, insieme a quella con gli indipendentisti radicali baschi di Bildu, era proprio uno dei comportamenti più discussi di Sanchez e questo quadro renderebbe inevitabilmente il governo debole: però certo, così Sanchez e la sinistra continuerebbero l’esperienza governativa. E Sanchez potrebbe chiedere ai catalani un appoggio esterno anziché di entrare al governo: sarebbero disponibili a farlo?

Il terzo scenario che pare leggermente più probabile è quello elettorale. Che cioè il Paese torni al voto nel giro di qualche mese. A chi gioverebbero nuove elezioni al momento non è dato saperlo, anche se è probabile una ulteriore spinta per il bipartitismo spagnolo, che da queste elezioni esce sicuramente vincitore. Anche se non così tanto per governare.

Giornalista, genovese di nascita e toscano di adozione, romano dai tempi del referendum costituzionale del 2016, fondatore e poi a lungo direttore di Gay.it, è esperto di digitale e social media. È stato anche responsabile della comunicazione digitale del Partito Democratico e di Italia Viva