Tutto fuori misura, tutto esagerato, troppo di tutto. I funerali della regina Elisabetta a Westminster hanno concluso oggi, formalmente – con le esequie ultra solenni e un pieno di capi di stato, con i due minuti di silenzio in tutto il Paese – i lunghi giorni del lutto per la sua morte. La morte della regina è stata un grande evento mediatico, eppure destinato a uscire di scena senza lasciarne traccia. Converrà dunque, cercare di capire meglio l’adesione di massa che ha suscitato. Un re che scompare può dare vita a reazioni tra loro opposte.

Reazioni che sono storicamente riassumibili in due formule famose. Da una parte la reazione può prendere la forma di quel “Dio salvi il re”, che pretende la continuità dell’istituzione monarchica incanalata nel sovrano, e dall’altra in quel “il re è nudo” che rivela tutta la perdita di autorità che non è più riconoscibile come tale. È questo l’annuncio della fine del regno. È curioso che in una società intersecolarizzata naturaliter repubblicana, il mondo mediatico sia stato, nell’occasione, interamente occupato dalla prima delle due, da quel “Dio salvi il re”. Del resto, per rivelare che il re è nudo, anche nella stessa fiaba di Andersen – non casualmente intitolata “I vestiti nuovi dell’imperatore” – è necessario che entri in campo un bambino per disvelare la verità delle cose.

Solo l’innocenza, cioè la mancata contaminazione con il potere costituito e l’estraneità al formarsi del senso comune, può sottrarsi al fascino degli abiti dell’imperatore. Fascino che invece può farsi tendenza anche nella società dell’individualismo di massa, come abbiamo potuto vedere. Ma il bambino, anche quando l’omologazione si fa diffusa, per fortuna, da qualche parte, si trova sempre. In questo caso, qui da noi, a dargli voce è stato questo giornale pirata, capace di fare di verità scandalo. Luca Casarini ha scritto la cosa giusta. L’intelligenza della conoscenza gli è resa acuta dall’esperienza di chi vive in mare per portare soccorso ai migranti, la cui vita è messa a rischio dalle nostre organizzazioni sociali e dalle nostre istituzioni. Il Riformista ne ha fatto una prima pagina sbattuta in faccia a tutti i conformismi che si fanno moda del proprio tempo.

Ma il fenomeno che ha sequestrato le comunicazioni di massa e che ha visto tutto questo sussulto di un interesse di massa per il mondo dei reali va capito. Perché accade? Perché accade in questo tempo e in questa parte del mondo? Un certo interesse popolare per la vita dei regnanti è sempre esistito in tutto il dopoguerra, anche se in Italia non è stato mai un fenomeno politico figlio di una scelta per la monarchia ma un fatto minore di costume. Considerato un’espressione di una subcultura dai ceti colti era d’altra parte relegato nelle parti basse dell’informazione. Settimanali, anche di alta tiratura ma di assai scarsa considerazione pubblica, attraevano i loro lettori fin dalle immagini messe in copertina e poi dalle cronache pettegole sulla vita dei reali. Ma il fenomeno risultava chiuso in un recinto, fuori dai grandi flussi dell’informazione influente. Neppure quando venne messa radicalmente in discussione la distinzione tra l’alto e il basso della produzione culturale, quel tipo di basso mai poté essere rivalutato.

Le culture emergenti nella società di massa, sia quella formidabile della contestazione, che quelle conservatrici, ignoravano il fenomeno perché per nessun verso esso risultava significativo. Allora, perché oggi le immagini dei reali in morte come in vita conquistano una siffatta primazia su tutta l’informazione, come è emersa di fronte la scomparsa della regina Elisabetta? Penso che andrebbe esplorata la tesi secondo la quale è l’assenza di una speranza di futuro ed è un presente spesso disperante che spingono verso un passato che a sua volta non può essere la storia, perché darebbe vita agli stessi problemi da cui si vuole fuggire.

Semmai è la ricerca di un’immagine formalista del passato, mondato dal dolore, dal male dell’esercizio del potere. Si potrebbe dire che così si fa appello ad un passato tanto edulcorato da non aver bisogno né della politica né delle passioni. Sant’Agostino sosteneva che: “I tempi sono tre: presente del passato, presente del presente e presente del futuro. Questi tre tempi sono nella mia anima e non li vedo altrove. Il presente del passato che è la storia. Il presente del presente che è la visione. Il presente del futuro che è l’attesa”. Se vuoi fuggire dal presente del presente e il presente del futuro non lo vuoi, puoi ritrovarlo nel passato. Il passato diventa allora svuotato dalla vita, ridotto ad una cerimonia, una cerimonia che riguadagna l’attualità.

La cerimonia è tutto, la realtà è niente. La morte, la vita, la storia, si mondano del dramma che è loro proprio per galleggiare in una contraffazione, in una imitazione fraudolenta che indossa “I vestiti nuovi dell’imperatore”, che sono quelli di sempre, quelli di un tempo immobile, come ci illustra il corteo dei reali che accompagna il feretro della regina. Per questo attrae proprio nella sua estraneità al reale, imponendosi come una finzione accettata. Quegli abiti improbabili, quei volti immobili, quel passo così altro dal camminare comune per le nostre strade, per le strade della vita quotidiana, sono il passato senza vita reale, fissato in una dimensione atemporale, fuori dal tempo del futuro, fuori dal tempo del presente, fuori dal tempo del passato. Lì vorrebbero andare a vivere i tanti e le tante che sono restati calamitati dalle immagini proposte ossessivamente dagli schermi.

Ho usato il riferimento alla favola. Mi sono sbagliato. Anche nella favola c’è il rischio, c’è il male, anche se sopravanzati della risorsa, seppure fatata, che li sconfigge. Qui invece, c’è solo la fuga dal proprio tempo, verso un’immagine che attrae perché sta fuori di esso. Più che lamentare la passivizzazione delle masse, più che dolersi della ricaduta nella forma mentis del suddito, bisognerebbe saper reinventare quella del cittadino, bisognerebbe saper ricostruire la speranza di futuro, bisognerebbe cercare un’altra, e radicalmente diversa, uscita da questo nostro tempo, verso la costruzione del futuro della nazione. Si chiama lotta per l’egemonia.

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Politico e sindacalista italiano è stato Presidente della Camera dei Deputati dal 2006 al 2008. Segretario del Partito della Rifondazione Comunista è stato deputato della Repubblica Italiana per quattro legislature ed eurodeputato per due.