Da militante dell’antimafia a militante dell’antifascismo e dell’antiriforma. Cartabia delenda est. Muto sul “processo trattativa”, la grande sconfitta. Ecco s’avanza uno strano candidato alle elezioni del 25 settembre. Roberto Scarpinato rompe i freni inibitori e fa la gioia dei giornalisti, prima alla festa del Fatto quotidiano, dove gioca in casa e i falli non vengono segnalati perché quello è un campo in cui non esiste arbitro. E poi, domenica pomeriggio, ospite da Lucia Annunziata a “Mezz’ora in più”, in una puntata elettorale dedicata a tutti i partiti e coalizioni che partecipano alle elezioni, un po’ schiacciato nella squadretta grillina, in cui Giuseppe Conte la fa da mattatore,
alla faccia dei tempi in cui uno valeva l’altro. E si capisce che la presenza di Scarpinato è messa lì a fare la bella statuina più per il nome che per sentire che cosa ha da dire. Anche perché lui, quando gli danno la parola, inonda i giornalisti presenti di noia, mettendosi a parlare del generale Gianadelio Maletti, che fu uomo dei servizi segreti (Sid) e personaggio fondamentale nelle indagini sulla strage di piazza Fontana.

Storia di oltre cinquant’anni fa, quando i presenti alla trasmissione non erano neanche nati. E debolissimo, come argomento anti-Meloni, il fatto che quando il centenario ex spione di Stato un anno fa è morto a Joannesburg, in una sala del Senato sia stato presentato il libro di una storica sulla sua vita, su iniziativa di un senatore di Fratelli d’Italia e con la partecipazione di una collega del Pd. Un po’ pochino, come esordio politico-televisivo, caro candidato Scarpinato. Ma dove ha potuto scatenarsi, anche se nel modo un po’ arruffato del principiante, è stato alla festa del suo vero partito, quello che ha una linea politica molto più definita dell’amico e amato Giuseppe Conte, il Fatto Quotidiano. Lì ha potuto godere delle carezze di Gianni Barbacetto e Giuseppe Pipitone, e poi il giorno dopo, proprio mentre lui sedeva davanti ai giornalisti chiamati a fare domande da Annunziata, ha potuto leggere e rileggere la cronaca del suo vero esordio politico. Un figurone, niente da eccepire. Senza un filo conduttore, e questo ci piace.

E poi, diciamo la verità, possiamo finalmente trattarlo da politico senza rischiare la querela, possiamo anche scrivere che dice cavolate. E che finalmente ha tirato fuori quel che aveva sul gozzo, quando ha buttato lì: “…ditemi voi se me ne dovevo restare a casa!”. Ecco il militante, quello che ci piace. Quello come tutti gli altri, con i piedi dentro le pozzanghere e le mani sporche di quel famoso “sangue e merda” con cui aveva definito la politica un socialista d’antan, Rino Formica. Fa anche lo spiritoso, se non abbiamo capito male una sua risposta. La domanda è inevitabile, perché l’ex procuratore generale sta per mettere piede in Senato, nello stesso luogo in cui si accinge a tornare, dopo nove anni di forzata assenza, un personaggio di cui forse lui ha sentito parlare. E duno pestargli un piede e poi invocare l’articolo 68 della Costituzione?

Dobbiamo avvertire il presidente di Forza Italia di guardarsi le spalle? Ah, lo humor nero delle toghe… Ma non dimentica le ossessioni, che poi sono sempre le stesse dei suoi ex colleghi, da quelli come Ingroia, che da qualche anno percorrono con scarso successo le strade della politica, agli altri che sono rimasti fuori, e di cui non si sa mai se per sdegnoso rifiuto o per assenza di avances politiche. La bandiera della Costituzione, sventolata anche un po’ a casaccio, perché nei 139 articoli ce ne sono alcuni rispetto ai quali processi come quello patacca sulla “trattativa” stridono più del gessetto sulla lavagna. Ma per il candidato Scarpinato la Costituzione deve “diventare la linea Maginot”, di cui forse non ricorda come è andata a finire.

Così, nel nome dei partigiani messi insieme a Falcone e Borsellino, il candidato distribuisce le sue fortificazioni su due fronti, l’antifascismo e l’anti-Cartabia. Sul primo fronte, non trova di meglio che rinfacciare alla quarantenne Giorgia Meloni tutta quanta la storia d’Italia con la solita lettura di storia criminale e stragista, da Portella della ginestra a piazza Fontana al delitto Moro fi no alle bombe degli anni 1992-93. Perché, dice il candidato in tv, “noi siamo anche il nostro passato”. E quindi si lascia andare nel corso della festa, “..non avrei mai immaginato di vedere una normalizzazione del fascismo”. E pensate poi che i candidati in Sicilia vengono scelti da personaggi come Dell’Utri e Cuffaro. Che non c’entrano niente con il fascismo, ma tutto fa brodo, come la “borghesia paramafi osa” che ha candidato Schifani. Tutto in carico a Giorgia Meloni, che subisce in definitiva il titolo dell’articolo del Fatto: “Questa destra è anche fi glia delle trame nere”. Sistemata.

Ma spunta fuori la toga quando il candidato Scarpinato mostra la seconda fortificazione della linea Maginot. E si capisce l’urgenza di quel “ditemi voi se me ne dovevo stare a casa”. Cartabia delenda est, nel senso della sua riforma. Parola d’ordine: “smontare quello che hanno già fatto”. Con una stilettata direttamente alla persona, la quale “si è data da fare: ha confezionato una serie di norme che altro non solo che i presupposti per ristabilire l’egemonia della politica sulla magistratura”. Cartabia a capo di drappelli di politici che, qualora venisse applicata la norma che delega il Parlamento a dare ogni anno indicazioni sulle priorità nell’attività di contrasto alla criminalità, sicuramente porterebbe l’acqua al proprio mulino. “E secondo voi –il candidato si rivolge così ai propri elettori- tra i processi da trattare con priorità ci metteranno quelli per abuso d’ufficio o quelli che riguardano i reati dei colletti bianchi?”.

Dice proprio così: abuso d’ufficio e colletti bianchi. Sono dunque queste le priorità del candidato Scarpinato? Confezionare leggi per perseguire qualche consigliere comunale? E la mafia, già dimenticata dopo l’umiliazione subita dalla corte d’appello di Palermo? Fare demagogia spicciola è la cosa più facile, in campagna elettorale, così lui dice che vuole eliminare il jobs act, la riforma del lavoro voluta da Matteo Renzi quando era presidente del Consiglio. “Io non lo voglio”, butta lì il candidato a caccia di applausi grillini. Non manca la difesa del reddito di cittadinanza, “vogliono togliere un tozzo di pane anche ai poveri”. Ma toppa clamorosamente quando, per accusare l’ex collega Carlo Nordio, candidato con Fratelli d’Italia, di essere contro la Costituzione per le sue proposte riformatrici, chiama in causa di nuovo gli eroi dell’antimafia, dimenticando che Giovanni Falcone la pensava proprio come Nordio sulla separazione delle carriere. Un’altra linea Maginot?

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.