Con la perentorietà conveniente alle parole dell’Istituzione, l’altro ieri il Ministero della Giustizia twitta la notizia dell’approvazione delle misure “nate per contrastare il fenomeno delle risse”. L’immagine che accompagna il testo è un murales che ritrae il volto di Willy Duarte Monteiro, vittima di un pestaggio avvenuto nella notte del 5 settembre a Colleferro, e il ministro della Giustizia in persona sottolinea l’urgenza delle disposizioni a seguito di quel brutale omicidio. Il testo poi illustra gli inasprimenti previsti: chi è coinvolto in una rissa è punito con una multa fino a duemila euro (non più 309 euro) e, nel caso qualcuno riporti lesioni personali o resti ucciso, le pene passano da un minimo di 6 mesi a un massimo di 6 anni (in luogo delle precedenti da 3 mesi a 5 anni).

E si prevede il Daspo come misura di prevenzione dei disordini nei locali per coloro che siano stati denunciati o condannati anche in via non definitiva nel corso degli ultimi tre anni per reati commessi in occasione di gravi disordini avvenuti in pubblici esercizi (prima della modifica era necessaria una condanna definitiva o confermata in grado di appello). In caso di violazione della misura di allontanamento si prevede la pena da 6 mesi a 2 anni e la multa da ottomila euro a ventimila euro (precedentemente si prevedeva la pena da 6 mesi ad 1 anno e la multa da cinquemila a ventimila euro). Si pensa da più parti a una norma dilettevole, a una festa del diritto, alla risposta di salda e inflessibile severità dello Stato di fronte alla violenza. Una severità promessa di tolleranza zero “unico atteggiamento possibile di fronte alle risse che spesso sfociano in fatti gravissimi, e persino alla morte”, come sempre Alfonso Bonafede commenta.

Non solo i governanti rispondono alla morte di Willy, insomma, ma incastonano al cuore della giustizia una legge che garantirà criteri di punizione così intransigenti da assicurare una sicurezza più piena, che scongiuri il ripetersi di simili efferatezze. Proviamo ora a fare un’ipotesi fantastica. Il 5 settembre scorso la modifica del decreto sicurezza è già vigente e già opera nella sua duplice veste di dissuasione per eventuali invasati del menare le mani e di contrasto al cupo fenomeno delle risse. Cosa sarebbe cambiato? In verità, niente. Quel che è accaduto quella notte, infatti, non è una rissa. Reato dai contorni sfumati quanto il pericolo che segnala per l’incolumità della persona, la rissa suppone che ci siano due gruppi contrapposti, due schiere nemiche, finalmente e come vogliono tanti giornali: due branchi che partecipano alla mischia e attentano gli uni all’incolumità personale degli altri, e viceversa. Insomma, due compagnie che se le danno di santa ragione. Ma nulla di quel che si può leggere sulla stampa suggerisce che il vecchio compagno di scuola impegnato nella discussione i cui toni mossero Willy ad avvicinarsi per offrire aiuto, e poi Willy stesso, facessero parte di una fazione di rissosi coinvolti in un pestaggio reciproco.

A suggerirlo è però la norma appena approvata. Che non soltanto si installa al centro dell’illustre tradizione del populismo penale, risolvendo i propri turbamenti davanti all’efferatezza a suon di leggi costruite sulla proliferazione di pene tanto rigide quanto simboliche, acre propaganda che esaspera gli aerei sospiri dell’indignazione pubblica e precipita poi nell’assai concreto condizionamento della macchina processuale. Ma stavolta s’è scoperto un nuovo abuso delle vittime e della loro sofferenza. Come consenso vuole, li si torce a giustificazione di un inferocimento inefficace quando non dannoso delle sanzioni, ma ora gli si inventa intorno una vicenda che non li riguarda affatto e che ne cambia il ruolo anche agli occhi di quella opinione pubblica che tanto rapidamente s’emoziona.

Ecco la novità: si legifera su un reato in nome della vittima di un altro reato. C’è qualcuno che s’inquieta per tutto questo? C’è, ed è il legale della famiglia di Willy Monteiro, che parla a loro nome così: «La famiglia di Willy vuole una pena certa e giustizia. Come avvocato non credo che legiferare in emergenza sia la cosa più saggia. Già adesso ci sono norme severe ma bisogna far sì che le pene siano espiate e abbiano funzione educativa. Bisognerebbe valutare perché episodi del genere si verificano e a chi sono ascrivibili». Menomale, a quel che combinano i legislatori le vittime ogni tanto trovano il modo di rispondere.