A Il Fatto Quotidiano la battaglia dell’Unione camere penali contro la riforma Bonafede non va proprio giù. E così il giornale, strenuo quanto unico sostenitore di quella scriteriata legge, ha ripescato la parte di una audizione che ho tenuto quando presiedevo l’Unione, nella quale avrei affermato che la prescrizione non incide sulla ragionevole durata del processo. In merito l’estensore dell’articolo rileva che, richiamando la tesi dei professori Giostra e Padovani, avrei dichiarato che «la prescrizione è inidonea a garantire la durata ragionevole del processo», «diciamo che anzi non c’entra nulla. Diciamo, anzi, che allungare i tempi della prescrizione può portare ad un allungamento dei tempi del processo».

L’intento del giornalista è evidente: dimostrare che l’Unione ha cambiato idea nel tempo, ed è dunque in contrasto con se stessa. Nulla di più infondato e immaginario. E che le cose non stiano così è evidente persino dallo stralcio riportato nell’articolo, dando per ammesso che sia stato correttamente riportato quanto affermato durante l’audizione. Basta leggere, infatti, per rendersi conto che le dichiarazioni attribuitemi sono estrapolate da un contesto più ampio e articolato nel quale l’Unione contrastava la riforma Orlando i cui sostenitori, sbagliando, ritenevano che dilatare i termini della prescrizione avrebbe consentito di rendere più spediti i processi, in ossequio al principio della ragionevole durata degli stessi. Da qui la risposta dell’Unione, che faceva rilevare esattamente il contrario di quanto strumentalmente sostiene il Fatto Quotidiano: si affermava infatti che l’allungamento dei termini di prescrizione non solo non avrebbe inciso sulla ragionevole durata del processo, rendendolo più breve, ma anzi si sarebbe ottenuto l’effetto contrario.

Desidero rammentare anche, perché non vi siano altre strampalate e maliziose interpretazioni, che l’Unione si oppose energicamente all’entrata in vigore della riforma Orlando, proclamando circa quaranta giorni di astensione che costrinsero il governo a chiedere un doppio voto di fiducia su materie riguardanti la giustizia penale. Per verificare il corretto punto di vista dell’Unione sono ovviamente a disposizione, anche de Il Fatto Quotidiano, delibere di astensione, documenti e interviste dell’epoca. Il quotidiano potrà così verificare che le idee dell’Unione di ieri sono le stesse di oggi, confortate anche da tutta la migliore accademia. Ieri come oggi si sono segnalati i rischi connessi a un processo senza fine e i profili di incostituzionalità di riforme, come quella oggi in vigore, che rendono imputati e persone offese ostaggi dello Stato per un tempo indeterminato.

Presunzione di innocenza, risocializzazione del reo, diritto alla vita inteso come possibilità di poter organizzare la propria esistenza senza essere sottoposti ad un ergastolo processuale, sono principi che vengono mortificati. E di certo entra in gioco anche il principio della ragionevole durata del processo, perché, abolendo la prescrizione dopo la sentenza di primo grado, i processi saranno senza fine violando quel principio, consacrato anche dall’art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, secondo il quale «ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole».

Su una cosa ha però ragione l’articolista: per assicurare la ragionevole durata del processo non bisogna modificare la prescrizione, ma reagire all’ipertrofia penale, rafforzare i riti alternativi e sostenere altre riforme, sostanziali e processuali, proposte, ieri come oggi, dall’Unione. Si rassicuri dunque il Fatto Quotidiano, né io né l’Unione soffriamo di una perniciosa crisi di identità o siamo in contrasto con noi stessi. Siamo, invece, coerentemente, propositivamente quanto vibratamente contrari ad una delle più dissennate riforme in materia di giustizia penale, che ha come scopo ultimo quello di cancellare il processo liberale e democratico, per tornare a quello autoritario e inquisitorio tanto caro al Dott. Davigo.