C’è un nuovo giallo, in questa storia del tabacco. Quando nel 2018 l’Oms ha convocato a Ginevra la Conferenza delle Parti per discutere dell’adozione del Piano Strategico a medio termine 2019-2025, nell’ambito della Convenzione Quadro per il Controllo del Tabacco, ci fu una particolare decisione del governo italiano. Era il Conte I. L’esecutivo nella composizione della delegazione italiana limitò i dirigenti del ministero della Salute, dove la ministra Giulia Grillo avversava le licenze verso il tabacco riscaldato, e ampliò la partecipazione di dirigenti del Ministero dello Sviluppo economico, allora guidato da Luigi Di Maio.

Il Riformista ha avuto accesso alle carte dell’incontro e ha verificato che a quel tavolo internazionale il nostro governo modificò ad arte la composizione dei partecipanti. Diversamente da quanto fatto in precedenza e contro la prassi degli altri stati membri dell’Organizzazione mondiale della sanità, l’Italia portò a Ginevra un team a ridotta presenza di dirigenti della Salute; nomi che per competenza gli addetti ai lavori definiscono non proprio ostili rispetto alle lobby del tabacco.

Il gruppo Tabacco end Game ci fa pervenire una inchiesta Reuters dedicata al monitoraggio della pressione dei grandi gruppi sulle convenzioni quadro per il Controllo del tabacco. Reuters parla di come «in ogni singolo paese, bisogna cercare di far spostare la titolarità per i problemi del tabacco dai Ministeri della salute a Ministeri diversi (finanze, commercio, ecc.), riducendo il peso della salute nelle delegazioni che partecipano alle Conferenze delle Parti». E poi «contenere, neutralizzare, ri-orientare, annacquare il testo delle disposizioni delle Conference of Parties della Convenzione» allo scopo di «Mantenere le questioni del tabacco nella cornice degli accordi commerciali». In effetti troviamo i riscontri che cerchiamo.

Chi indaga sul tabacco riscaldato avverte presto o tardi la puzza di bruciato. Le manine misteriose in Commissione bilancio – o forse in sedi istituzionali più alte – non smettono di intervenire, come ha fatto notare il direttore dell’agenzia delle Dogane, Minenna. I lobbisti sono tutti in fibrillazione, come fossero tifosi alla finale dei mondiali. La partita parlamentare volge al termine e sulle battute finali ciascuno prova a fare gol. Ieri l’ennesimo giallo è andato in scena alla Camera. Un emendamento preparato da M5S con autorevoli firme di Fratelli d’Italia e Forza Italia, presentato con il nuovo sistema di formulazione digitale, chiedeva la risalita graduale dell’accisa sui tabacchi da inalazione senza combustione, per farla tornare, nel 2023, al 50% «dell’accisa gravante sull’equivalente quantitativo di sigarette». Appena resi noti i firmatari, è scoppiato un caso: tra i settanta sottoscrittori alcuni giurano di non averlo mai firmato e anzi di non condividerlo affatto.

In particolare Renato Brunetta, FI, è saltato su tutte le furie. «Mai sottoscritto un emendamento a prima firma M5S sull’innalzamento delle accise sul tabacco riscaldato. L’errore, probabilmente causato dal nuovo sistema di invio digitale degli emendamenti alle commissioni, è occorso anche ad altri colleghi. In ogni caso, per quanto riguarda il merito, nonostante io sia un non fumatore, la penso esattamente al contrario».

L’indicazione generale è trasversalmente orientata ad un innalzamento della tassazione per tutti i prodotti di tabacco riscaldato. Dell’emendamento Muroni diamo conto nella conversazione di approfondimento. Ma le iniziative sono molteplici. Un emendamento di Italia Viva chiede che l’accisa passi subito al 50% per destinare le risorse al Fondo per il sostegno degli Irccs. In base alla modifica, l’accisa salirebbe dal 25% al 30% nel 2021, al 40% nel 2022 e al 50% nel 2023.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.