La senatrice Elena Fattori ha lasciato il Movimento dopo esserne stata considerata, a buon diritto, tra le fondatrici. «Una attivista storica», come sintetizza lei. Ha trascorso un decennio dentro il Movimento Cinque stelle, sei anni da parlamentare. Ne è uscita da un anno e mezzo, dopo aver votato più volte contro i decreti sicurezza e aver chiesto trasparenza sui soldi che ogni mese tutti gli eletti devono versare a Rousseau, a Davide Casaleggio.

Aveva già parlato di “movimenti poco chiari”. Ieri ha letto l’autodifesa d’ufficio di Casaleggio su Facebook e non ha perso tempo per mettere i puntini sulle i. Già intervistata da Nicola Biondo per Linkiesta, aveva parlato di diverse operazioni opache, in cui la contiguità contabile e amministrativa tra M5s e Casaleggio aveva fatto accendere più di qualche sospetto e, nel 2019, meritato le attenzioni dell’antiriciclaggio di Bankitalia. In particolare la senatrice Fattori aveva parlato di «raccolte fondi per feste e altre attività, soldi sui quali era difficile capire l’utilizzo finale nel dettaglio e chi li gestiva. I conti per una festa nel Lazio – ad esempio – li teneva Casaleggio». Il problema è che nessuno ha osato rompere con il figlio del fondatore, fino a poco fa. Oggi non fa più paura. «Guardi, povero Davide, mi fa quasi pena. L’hanno lasciato solo tutti».

Ma lei è andata sulla sua bacheca Facebook per puntualizzare: c’è un conflitto di interessi bello e buono. È così?
Lui dichiara di non essere un politico, e questo a me inizia a dare un po’ fastidio. Uno che fonda un partito – o movimento, che dir si voglia – si sta occupando squisitamente di politica. Non può dire di essere un tecnico informatico dedicato a una azienda privata. Fa politica. E non può più dirlo certo dal 2017 in poi.

Qual è lo spartiacque del 2017?
Nel 2017 c’è stato un atto rifondativo del M5s, con il deposito di un nuovo statuto. Da quel momento i due fondatori del Movimento risultano essere Luigi Di Maio e Davide Casaleggio. Due persone che fondano un partito, punto. E quel partito oggi è al governo del Paese. Quindi Casaleggio e Di Maio sono persone politicamente esposte, alla stessa stregua. Questo non si può negare.

In che modo avvenivano gli incontri?
Davide Casaleggio organizzò una sessione di formazione sulla modalità dei programmi. Ci disse che dovevamo consultare gli stakeholder delle varie categorie, le associazioni di rappresentanza, i sindacati, e che si costruisce il programma tenendo conto di tutte le esigenze degli stakeholders.

Tra cui i lobbisti. Niente di male.
C’è un episodio chiarissimo che ho in mente. Quando Francesco Dettori mi presentò un lobbista. Me lo mandò dicendo che quella persona era amica di Davide Casaleggio, che aveva un progetto con Casaleggio e che voleva contribuire al programma. Con lui si parlò di agricoltura. Essere conoscenti di Casaleggio o di Dettori era un modo per incontrare i parlamentari. Poi che questo parlamentare si facesse convincere o meno era a sua discrezione. Però era parte di un processo politico, non imprenditoriale.

Si poteva dire di no agli amici di Casaleggio?
Sicuramente. Ma molti hanno temuto a lungo la sua figura: era anche ufficialmente colui che amministrava la nostra piattaforma digitale, cioè l’infrastruttura strategica del nostro agire politico.

Bisogna appunto chiarire dove finisce il ruolo dell’imprenditore e dove inizia il politico.
Certo, è questo che va risolto. Davide (Casaleggio, ndr) non può continuare a dire di essere solo un informatico. È un imprenditore che ha fondato un partito, tutti nel Movimento, almeno finché c’ero io, sapevano di doversi riferire a lui.

Come fu Berlusconi con Forza Italia.
Ma noi non dovevamo diventare come Forza Italia. All’inizio dicevamo che quando qualcuno ha un mandato politico, non deve fare nessun altro tipo di lavoro. Si diceva che chi si occupava di fare il portavoce parlamentare doveva prendere una aspettativa o licenziarsi, per riconoscere al mandato un ruolo davvero disinteressato e fuori da ogni dinamica aziendale.

Bisognava persino dismettere le vesti dell’imprenditore?
Secondo me se uno dà vita a un partito deve scegliere quale vestito indossare. Azienda privata? Va benissimo. Partito politico, cioè parlamentari, leggi, nomine pubbliche? Va bene. Però devi scegliere. È questione di coerenza.

E però il Movimento è diventato perno di due maggioranze dal 2018 ad oggi e non ha proposto una legge sul conflitto di interessi.
Infatti. Continua a non esserci una legge sul conflitto di interessi, che ad oggi nel nostro Paese non è reato.

Ricorda altri incontri con altre lobby?
Sono due percorsi paralleli, due facce della stessa medaglia. Da un lato l’imprenditore organizza degli incontri con gli stakeholder, come Sum, dall’altro la vita della forza politica. È chiaro che questi due mondi diventano vasi comunicanti, non c’è bisogno di formalizzare un incontro o di esercitare pressioni. Parliamo di creare le condizioni perché impresa e politica possano comunicare tra loro.

È delusa da queste notizie sul Movimento?
Sono allibita. Cosa potrei augurarmi, che si resetti tutto e si riparta da zero? Ma non ci conto neanche. Adesso ho provato a riscrivermi a Rousseau per partecipare come cittadina a una delle votazioni in corso in questi giorni, sulla fiducia ai leader. Dopo due minuti dalla mia richiesta, il mio profilo è stato bloccato: perché quella è una organizzazione che agisce così. Ti mette in blacklist. Doveva essere un esperimento di democrazia partecipata, è diventata la casa dei misteri. Un partito con una oligarchia fondato da un imprenditore che ne mantiene il controllo.

Troppa mancanza di trasparenza?
Fino al 2017 è stato un movimento civico in cui molti di noi hanno creduto. Poi c’è stato un colpo di mano, un atto notarile che ha sigillato il nuovo statuto e il conferimento di tutti i poteri a Casaleggio e Di Maio. Un colpo di mano di cui molti non si sono accorti. Faccio notare che l’atto fondativo non era pubblico, nessuno di noi aveva capito quello che stava accadendo.

Hanno fondato una ditta senza annunciarlo?
Sì, nessuno lo sapeva. E hanno creato una classe dirigente tra i loro fedelissimi, che non si sono mai misurati con la legittimazione del territorio. Abbiamo una classe dirigente tra le peggiori perché chi era rappresentativo, veniva da esperienze associative, era legato al territorio è stato progressivamente espulso.

Lei quando ha saputo che Casaleggio si è intestato il M5s?
Con gli atti del processo di espulsione del senatore Gregorio De Falco. Prima era rimasto top secret. È diventato un gruppo autoreferenziale che di civico non ha più nulla. E non a caso buona parte della base se n’è andata.

Perché hanno trascurato i territori? Richiedono un’organizzazione periferica?
Perché ultimamente il Movimento si interessa solo del governo centrale e delle nomine dei vertici delle aziende di Stato. Sotto non c’è più niente.

Casaleggio ha preso parte a riunioni di vertice sulle nomine pubbliche e sulle leggi di bilancio?
Non posso saperlo perché l’assemblea dei parlamentari, per regolamento interno, non ha potere deliberante. Noi potevamo discutere di tutto ma non decidevamo niente. C’erano dei tavoli alti, dove loro decidevano. Io non ne sono mai stata parte.

Quando ha letto la nostra inchiesta cosa ha pensato?
Che c’è un imprenditore, Davide Casaleggio, che fa come gli pare. Però anche fare l’imprenditore quando hai una influenza così importante su un partito, ti imporrebbe di tenere lobby e interessi a distanza di sicurezza. Non so qualeiprogetti avesse Davide con la Philip Morris, ma io avrei comunque rinunciato, eticamente. Non avrei accettato nessuna cifra sapendo che questo avrebbe gettato anche solo l’ombra del sospetto.

Ieri ci ha attaccato su Facebook, anche tentando in modo maldestro un affondo personale.
Ho visto, e ho commentato proprio perché so che il conflitto d’interessi c’è, eccome. E poi faccio riflettere su un fatto: ha scritto quel post come imprenditore, dice. Gli rispondono gli attivisti M5S, con il logo. Gli risponde il gruppo alla Camera. Gli manifestano sostegno i senatori. Anche quel post è la dimostrazione di quell’ambiguità di cui parliamo. Ha provato a difendersi come imprenditore ma è stato riverito come leader di un partito. Non si può negare l’evidenza tutti i giorni.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.