“Adesso stanno tirando troppo la corda”, dice un deputato di Area Dem sfinito, al termine di una giornata incandescente, malgrado l’aria condizionata sia forte. A fumare sono gli animi, soprattutto sui banchi più lealisti con il governo. Il Movimento ha votato la fiducia sul dl Aiuti a denti stretti, preannunciando dopo Montecitorio nuovi scogli al Senato. I deputati pentastellati hanno votato la fiducia con 15 assenti ingiustificati, dopo una prima chiama che ne aveva visti sparire, all’atto del voto, ben quaranta. Il day after del confronto tra Giuseppe Conte e Mario Draghi ha confermato la situazione di estrema precarietà nel rapporto tra M5s e la maggioranza di governo.

E sono proprio gli alleati del Pd a malcelare una certa insofferenza. A ragion veduta. A macchia di leopardo, nelle votazioni sugli ordini del giorno successive al voto di fiducia, i 5 Stelle si sentono in libera uscita. Ora si astengono, ora votano contro il governo. Sull’attestazione Soa per le imprese edili, ecco che i grillini e i leghisti tornano sottobraccio e votano uniti un loro ordine del giorno contro le indicazioni della maggioranza. “Meriteremmo il Nobel per la pazienza”, si lascia sfuggire Matteo Orfini. Il leader dei Giovani Turchi non ha mai simpatizzato troppo per quel corpo estraneo alla politica che altri hanno imposto come miglior alleato. Un altro deputato Pd romano propone un ragionamento: “I 5 Stelle sono stati fortemente ridimensionati dalla scissione di Di Maio, avvenuto proprio sul terreno della rottura con il governo Draghi. Non possono dargli ragione: se votano contro la maggioranza lo certificano come statista. Adesso sono costretti a fare la pantomima.

Ma le pantomime in politica sono un’arte, bisogna saperle fare. E loro sono maldestri pure in questo”. Botte da orbi tra alleati che in cuor loro sentono di essere destinati a dividere le strade. “Se alla fine Conte dovesse uscire dal governo, la legislatura dovrebbe comunque arrivare alla sua conclusione naturale’”, avverte il senatore Andrea Marcucci, dem di Base Riformista. E guarda oltre l’epoca del patto scellerato con loro. “Si deve aprire il tavolo per il programma con i futuri alleati, incoraggiando i leader dell’area moderata a trovare una posizione comune, che superi lo sterile ‘no, tu no’. Un’alleanza per l’Italia, che continui il lavoro delle riforme, anche di sistema”. È ancora Orfini a bacchettare i grillini: “Siamo in una condizione molto complicata per il Paese, quello sta accadendo con i posizionamenti dei singoli partiti rende tutto molto complicato. Sarebbe opportuno che torni un principio di base: si lavori con un comune denominatore. Non si può governare con Conte e Salvini che si sentono tutti i giorni in campagna elettorale”. Lia Quartapelle è lapidaria: “Ciascuno è responsabile delle proprie azioni”. E il termine responsabile, con riferimento ai Cinque Stelle, rende il senso dell’irritazione che circola con molta evidenza al Nazareno.

Non la nasconde Gianni Cuperlo: “Mi sento come Bartleby”, confida al Riformista. Come nell’opera di Melville dove il protagonista è succube di un esercizio di pazienza a oltranza, perfino incomprensibile. Anche Piero De Luca è insofferente: “Mi auguro che questa maggioranza resti compatta e coesa a sostegno del Governo. Non possiamo permetterci il lusso di sbandare di fronte all’inflazione che ha toccato picchi da record”, dichiara. E guarda avanti: “Ora serve un’alleanza politica fondata su temi, contenuti e programmi per l’Italia del futuro”. Gioca la carta diplomatica il deputato Enrico Borghi, componente del Copasir: “Con il M5S stiamo continuando un percorso di discussione sul merito delle questioni. Per noi è assolutamente fondamentale far uscire l’Italia e gli italiani dalla situazione di crisi che stiamo vivendo e che purtroppo sta peggiorando. L’inflazione, il rischio recessione, le famiglie, le imprese, le piccole e medie imprese che faticano. Noi ci occupiamo di questo e su questo ci confrontiamo”.

Alla voce alleanze, si guarda a Luigi Di Maio con occhi nuovi. Il titolare della Farnesina ha incontrato Beppe Sala e punta a coinvolgere altri sindaci civici di tutta Italia. Nella sua Campania scoppia intanto una grana con il governatore Vincenzo De Luca che attacca il ministro Speranza. Deve intervenire Enrico Letta: “Il ministro della Salute ha tutto il nostro appoggio”. Già alle prese con i grillini riluttanti, il Pd non può permettersi altro fuoco amico.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.