Maria Laura Conte è tornata due giorni fa da Leopoli (L’iviv in ucraino), 70 chilometri dal confine con la Polonia. Qui, per Avsi – organizzazione non profit che realizza progetti di cooperazione allo sviluppo in 38 Paesi, inclusa l’Italia – ha compiuto una breve missione di “assessment”, spiega, che serve a preparare il terreno a chi, dell’organizzazione, tornerà in Ucraina per offrire supporto alla popolazione nel medio termine. Il che vuol dire, fornire loro “un tetto, assistenza psicologica e inserimento lavorativo”. Nel frattempo, quello che serve, dice, è soprattutto “cibo, farmaci e coperte” che, insieme ai volontari dell’organizzazione, la rappresentante dell’ong ha portato ai “cittadini ucraini rifugiati in Romania e Polonia”: qui, Avsi ha partner locali su cui può contare nei propri interventi umanitari.

“Ho visto tante persone in fuga in autobus, a piedi, in treno: per lo più donne e bambini, alcuni anziani. Li ho visti riposare sulle brandine dei centri di assistenza temporanea”. Quasi tutti hanno con sé “un solo trolley” perché “le fughe sono quasi sempre improvvise” e anche per “andare leggeri e veloci”, continua il suo racconto Maria Laura Conte. Ma cosa riesce a entrare della vita precedente in un solo trolley? A quanto pare, un pezzettino di futuro che pure si intravede mentre si cerca a sopravvivere a una guerra: come quella “mamma che nella magra valigetta preparata in fretta e furia ha infilato innanzi tutto “i documenti della scuola che potrebbero servire ai suoi figli”. Ovunque andranno a vivere.

A Leopoli, spiega Conte, “la vita si è come affezionata alla convinzione di essere protetta, al sicuro”: un’idea coltivata negli anni e giustificata dalla storia (anche da quella nazista visto che “persino Hitler la risparmiò dai bombardamenti”). Eppure “le sirene – che si attivano quando i sistemi di allerta registrano la presenza di velivoli che attraversano lo spazio aereo – avvertono la popolazione del rischio di un bombardamento”. E le sirene, negli ultimi giorni, non hanno mai smesso di allertare gli abitanti di Leopoli che hanno perso la loro antica sicurezza e ora popolano i rifugi sotterranei.

“Ho scaricato un’applicazione, quando ero lì, che serve a ricevere l’allerta quando suonano le sirene, anche se si è lontani dalla centro della città e si rischia di non sentirle: questa mattina ha suonato alle 11:38 e ancora non ha smesso” (sono le 16:00 ndr). Ma a cosa serve lasciare un’appdi guerra” sul proprio telefono, quando si è ormai al sicuro e si vive in pace? “Per ricordarmi, in ogni momento, di loro: voglio mantenere un ‘canale’ aperto con questa guerra che è a due passi da noi, perché la cosa peggiore sarebbe dimenticare”.

Intanto, in questa fase del conflitto, i “corridoi umanitari sono gli stessi attraverso cui passano le armi”: perciò possono essere un bersaglio facile. Come fare, dunque, a sostenere la popolazione che in queste ore cerca di mettersi in salvo e resiste in condizioni logistiche e climatiche molto difficili? “Gli aiuti”, conclude Conte “possono essere diversi: Avsi scoraggia il ‘fai da te’ perché la generosità di ciascuno di noi si scontra con le condizioni difficili indotte dal conflitto e che spesso ignoriamo: per esempio, i distributori di benzina del Paese sono vuoti e i camioncini che dovrebbero portare gli aiuti in città non riescono ad arrivarci. Per questo, invitiamo a indirizzare le donazioni in denaro alle organizzazioni che già lavorano lì e  che sono sicure e trasparenti”.

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Ho scritto “Opus Gay", un saggio inchiesta su omofobia e morale sessuale cattolica, ho fondato GnamGlam, progetto sull'agroalimentare. Sono tutrice volontaria di minori stranieri non accompagnati e mi interesso da sempre di diritti, immigrazione, ambiente e territorio. Lavoro in Fondazione Luigi Einaudi