Il Senato Usa ha approvato il piano Biden di contrasto al coronavirus e stimolo all’economia dopo una lunghissima seduta che si è conclusa sabato scorso. Il provvedimento deve ora tornare alla Camera per l’approvazione finale, che appare abbastanza scontata (la Camera aveva già approvato una versione simile). In questo primo provvedimento della nuova amministrazione vi sono sia elementi di continuità sia elementi di innovazione rispetto all’amministrazione precedente. Questo è il risultato di dinamiche politiche nuove e di particolare interesse, che vale la pena analizzare. Veniamo prima ai contenuti del provvedimento.

Molti hanno sottolineato l’entità dell’intervento, 1.900 miliardi di dollari. Si tratta in effetti di una cifra assai alta se la si compara, per esempio, al primo pacchetto di stimolo dell’amministrazione Obama nel 2009, in risposta alla crisi finanziaria allora in corso, che fu di circa 800 miliardi. Tuttavia lo scenario politico-economico è nel frattempo cambiato. Il primo provvedimento di stimolo messo in atto dall’amministrazione Trump nel marzo del 2020 ammontava a circa 2.000 miliardi di dollari, una cifra superiore a quella del provvedimento attuale. Né fu questo l’unico intervento di stimolo da parte dell’amministrazione Trump, che intervenne poi ripetutamente. Da questo punto di vista prevale la continuità. La politica fiscale americana è oggi molto lasca e lo era da prima della pandemia.

La riforma fiscale di Trump, approvata alla fine del 2017, ha creato un pesante buco nelle casse dello stato: il deficit federale è stato del 4,6% nel 2019, un anno di espansione economica, ed è ovviamente drammaticamente peggiorato nel 2020. Quanto questo stato di cose possa durare è difficile dire. È ovvio che almeno per tutto il 2021, con l’economia ancora abbondantemente al di sotto del suo potenziale, non ci saranno forti ragioni economiche (e ancor meno incentivi politici) per cercare di rimettere i conti pubblici su un sentiero di equilibrio. Ma questa situazione non durerà per sempre. Pur con tutti i margini di incertezza che queste previsioni comportano, alcuni segnali di aumento dei tassi di interesse si sono manifestati negli ultimi mesi. Le attuali condizioni favorevoli per il finanziamento del debito pubblico potrebbero quindi terminare tra non molto.

Se l’entità dell’intervento di stimolo è in linea con quanto fatto finora, la composizione presenta invece almeno due importanti innovazioni. La prima è l’intervento del governo federale a sostegno degli Stati e di altri enti locali, in particolare i distretti scolastici. Dei 1.900 miliardi, 350 miliardi sono destinati agli Stati e altri enti locali, e altri 130 sono destinati alle scuole primarie e secondarie. L’amministrazione Trump aveva ritardato questi interventi e l’andamento delle entrate degli enti locali si è rilevato migliore di quanto previsto inizialmente (in parte grazie al fatto che gli enti locali negli Usa si finanziano in buona misura con tasse sulla casa, il cui gettito è meno sensibile al ciclo economico), ma restavano notevoli buchi.

La seconda è l’introduzione di un sistema di assegni familiari che, potenzialmente, può cambiare in modo sostanziale il sistema di welfare statunitense. Si tratta di 300 dollari mensili per ogni bambino fino a 6 anni, e di 250 per i bambini da 6 a 17. Sono cifre notevoli e l’amministrazione Biden afferma che grazie a questa misura il numero dei bambini che vivono in povertà verrà dimezzato. Vedremo quanto vicina alla realtà si rivelerà questa stima, ma che si tratti di un provvedimento dall’impatto massiccio è fuor di dubbio. La misura è temporanea, però ci sono forti aspettative che nel futuro verrà resa permanente. Questo, perlomeno, è ciò che promettono i leader democratici e sicuramente una riduzione futura dei sussidi alle famiglie con bambini farebbe pagare un pesante prezzo politico a chiunque la tentasse. Se verrà resa permanente questa sarà probabilmente, almeno per quanto riguarda la politica economica, una delle più importanti misure di tutta l’amministrazione Biden.

Questo per quanto riguarda le innovazioni. Ci sono però lezioni interessanti da apprendere anche per i provvedimenti che sono in sostanziale continuità con l’amministrazione precedente. Cominciamo dalla parte più grossa del provvedimento: ogni americano che ha guadagnato meno di 75.000 dollari riceverà un assegno di 1.400 dollari, ammontare che viene rapidamente scalato e azzerato a 80.000 dollari. Si tratta di una ripetizione, con poche variazioni, di quanto aveva fatto l’amministrazione Trump lo scorso marzo. La parte interessante qui è stato il tentativo da parte dei democratici di alzare a 100.000 dollari la soglia di reddito per ottenere il beneficio. Il tentativo è fallito non solo per l’opposizione unanime dei repubblicani ma anche per i dubbi dei senatori democratici centristi, in particolare il senatore Manchin del West Virginia (Manchin è un senatore democratico in uno Stato molto repubblicano).

Riflette il fatto che una parte importante del blocco elettorale democratico è costituito da dipendenti con educazione universitaria, tipicamente con redditi da classe medio-alta. È a questi elettori che pensava l’amministrazione Biden puntando a espandere i limiti di reddito per il sussidio, anche se francamente le ragioni economiche per farlo erano e sono molto deboli. Sempre l’opposizione del senatore Manchin ha evitato l’aumento del sussidio di disoccupazione da 300 a 400 dollari settimanali. Resterà a 300, anche se la durata del sussidio è stata estesa fino all’inizio di settembre. Si tratta comunque di un ammontare robusto che dovrebbe limitare i danni per chi ha perso il lavoro, in attesa di una ripresa più robusta dell’economia che consenta di riportare la disoccupazione ai livelli pre-pandemia.

Infine, è stato eliminato (almeno per il momento) qualunque tentativo di aumentare il salario minimo a livello federale. Un tentativo del senatore Bernie Sanders di introdurre un provvedimento in questa direzione ha ricevuto solo 42 voti su 100: hanno votato contro tutti i repubblicani e 8 senatori democratici tra i più centristi. Questa non è sicuramente l’ultima parola e il tema del salario minimo sicuramente tornerà, ma certamente indica che il sentiero sarà accidentato.