In quest’articolo sarò vergognosamente di parte. Quando, anni fa, andai a Palermo a presentare un mio libro, fui guidato per la città da un amico di amici che vive a Mondello e che mi offrì, per pranzo, lo “sfincione”. Mi azzardai a mettere mano al portafogli, lui, inorridito, mi bloccò: siamo in Magna Grecia – disse – l’ospitalità è sacra. Ecco, la Magna Grecia. È quella che vado riscoprendo da nove anni, quando mi sposto per la penisola italica e presento i miei libri di narrativa e saggistica non giuridica. Trovo nel Sud un trasporto emotivo, una capacità di associazioni e confronto culturali, una ricchezza di linguaggio e comunicazione che, semplicemente, il Nord non ha. Per carità, lì trovo la precisione organizzativa, il desiderio di far cose buone e belle, e lettori che leggono molto, comprano libri, e sono curiosi. Ma non trovo la Magna Grecia.

Il mese scorso sono stato invitato a parlare del mio ultimo libro dal liceo musicale Campanella di Lamezia Terme: ho trovato studenti e insegnanti incredibilmente appassionati e preparati, vivacemente curiosi. E che dire di Reggio Calabria, che ha organizzato un evento al polo bibliotecario regionale di pregnanza intellettuale e umana assolute? Mi limito a questi due esempi di una terra, la Calabria, che è percepita e si percepisce come gravemente, delittuosamente abbandonata al suo destino. In questi giri per il Sud infatti riconosco sempre nello sguardo di chi incontro la ferita dell’abbandono. Abbandonati a noi stessi. Abbandonati da noi stessi. Non è retorica dire che siamo Magna Grecia, è ridire la memoria, a voce alta e condivisa, per guardare al futuro. Il nostro futuro, per funzionare, deve essere un futuro memoria. Le grandi imprese richiedono pazienza e duro lavoro, lo sappiamo (grandi armi delle genti del Nord), noi del Sud siamo slancio ed empito emotivo, è vero, e facciamo fatica a conservare, mantenere, accrescere: ognuno ha le sue virtù specifiche, Nord e Sud d’Italia, rispettivamente, non fanno eccezione.

Ma se dimentichiamo che le idee sono frutto di voli audaci nei quali siamo particolarmente acuti e coraggiosi, perdiamo le opportunità che ci offre una natura umana, la quale trae la sua origine speciale dalla nostra storia mediterranea. Donne e uomini di Magna Grecia, per l’appunto. Sfiduciati, dimentichiamo questa natura, smarriamo il senso della nostra identità, soprattutto in questa era miserabile in cui tutto sembra ridotto all’efficiente articolazione di tecniche organizzative (le buone prassi che eccitano così tanto la dirigenza amministrativa e politica del comparto giustizia, il quale necessita innanzitutto di buone idee, le quali sono cosa assai diversa, come si sa, dalle prassi). Questo nostro patrimonio di idee, cultura e slancio del cuore non è degno né dell’eterna lamentazione per la mancanza di strutture, né del disprezzo che ci autoinfliggiamo quando ci confrontiamo col Nord. Ma la classe dirigente, di questo patrimonio, sa che farsene, oggi? Oppure naviga a vista, immemore? La classe dirigente deve tornare a essere generosa e scoprire il mecenatismo. Invece non stiamo costruendo nulla, e nulla dunque lasceremo di ciò che conta: la bellezza e il coraggio che nasce dall’espandersi libero delle idee.