Il primo paziente trattato con il tocilizumab, il farmaco anti reumatoide impiegato in via sperimentale all’ospedale Cotugno per curare il deficit respiratorio provocato dal Coronovirus, potrebbe essere estubato a breve. E il farmaco è già stato sperimentato su due nuovi pazienti. Un risultato importante frutto della collaborazione tra l’Azienda Ospedaliera dei Colli e l’Istituto Nazionale Tumori della Fondazione Pascale che sabato scorso hanno dato vita ad una task force intorno all’idea di utilizzare il farmaco, inibitore dell’interleuchina-6, per curare i pazienti affetti da Coronavirus. Nel gruppo di ricerca, insieme al direttore del reparto di Oncologia dell’Azienda Ospedaliera dei Colli, Vincenzo Montesarchio, e al direttore dell’unità di Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative del Pascale Paolo Ascierto, ha lavorato anche il virologo Franco Buonaguro dell’Istituto nazionale tumori del Pascale.

Professore, il farmaco sta funzionando?
I segnali sono positivi, stiamo registrando buoni risultati e i pazienti trattati al momento con il tocilizumab sono quattro, tutti over 50. Sabato lo abbiamo somministrato ai primi due pazienti in condizioni critiche: uno era già intubato, il secondo stava per essere trasferito in terapia intensiva. Già dopo 24 ore abbiamo registrato i primi riscontri sul paziente più grave ma abbiamo atteso per estubarlo per essere certi che le sue condizioni si mantenessero stabili. L’altro paziente, invece, è migliorato al punto da non avere più necessita di essere intubato. Tuttavia, è bene chiarirlo, il tocilizumab non cura l’infezione da Coronavirus ma serve a contrastare la fase più grave della crisi respiratoria, quella che, finora, abbiamo arginato con l’ossigeno e l’intubazione.

È un’alternativa alla terapia intensiva?
In parte. Limitando la produzione di interluechina-6 miglioriamo la ventilazione respiratoria, riducendo il ricorso alla terapia intensiva o limitandola a pochi giorni. In Lombardia, ad esempio, i pazienti in media sono rimasti intubati per 15 giorni. I primi due pazienti allo Spallanzani per più di quattro settimane. Questo protocollo potrebbe alleggerire il carico dei reparti di terapia intensiva che non sono attrezzati, come è normale che sia, per rispondere a una situazione straordinaria come quella che stiamo vivendo. Il farmaco potrebbe essere la soluzione soprattutto in quei casi in cui l’alta affluenza nei reparti di rianimazione porta a non intubare, ad esempio, persone che hanno più di 60 anni.

Può essere utilizzata su tutti i pazienti?
Il farmaco è un inibitore dell’interleuchina-6 che serve a ridurre la cosiddetta tempesta citochinica quella che provoca le complicazioni respiratorie. Questo significa che il tocilizumab è efficace solo quando c’è un eccesso di interleuchina-6, ovvero nei casi più gravi, che sono proprio quelli che abbiamo trattato. In questo modo limitiamo la vasodilatazione, la fuoriuscita di liquido che determina il collasso dell’apparato respiratorio.

Ci sono dei tempi tecnici per stabilire l’esito di questo nuovo approccio?
La sperimentazione è partita e ora c’è bisogno di estenderla per rendere i risultati significativi. Anche allo Spallanzani di Roma stanno mettendo in campo questa terapia. Dall’altro lato, sono partite le procedure per il riconoscimento del protocollo da parte dell’Aifa, l’agenzia italiana del farmaco. Finora abbiamo ricorso all’uso compassionevole, ovvero abbiamo sperimentato un farmaco in pazienti in pericolo di vita per i quali non esistono valide alternative terapeutiche.

Se il trattamento con tocilizumab dovesse estendersi, ci sarebbe sufficiente disponibilità?
È un farmaco molto costoso e che può essere somministrato solo in ospedale ma non esistono problemi legati al suo reperimento. Stava per essere introdotto sul mercato per il trattamento con le cellule CAR-T.

Che tempi dobbiamo immaginare per uscire da questa fase acuta della malattia?
Se guardiamo all’evoluzione che c’è stata in Cina, la fase più intensa è durata due mesi. Quindi, possiamo presumere che entro fine aprile il contagio sarà nella sua fase calante.

Lo sarà a prescindere dalle misure che metteremo in campo per contenere il contagio?
Sì, ma con un discrimine importante: il numero di morti. Se riusciamo a contenere la diffusione del virus, a diluirlo nel tempo, allora saremo in grado di superare la fase acuta limitando le vittime.
All’inizio della diffusione del Coronavirus in Italia, si è molto dibattuto sul fatto che questa fosse, o meno, una “normale influenza”. Oggi che idea possiamo farci?
A me piace ragionare sui numeri. Se sarà stata, o meno, una normale influenza stagionale questo potremmo dirlo solo alla fine dell’anno. Se avremo avuto meno di 6mila morti, allora potremmo dire che avuto lo stesso impatto di un’influenza stagionale. Altrimenti no.

Secondo lei le misure messe in campo dal Governo e dalla Regione sono adeguate all’emergenza sanitaria?
Sono state tardive per una popolazione indisciplinata e immatura come quella italiana. Sarebbe bastato limitare al minimo i contatti all’esterno, evitare gli spostamenti dalla zona rossa. Ma davanti alle fughe, alle persone che scappano dalla quarantena per andare a sciare il governo non aveva alternative. Forse avrebbe dovuto rispondere da subito con forza all’irresponsabilità di questo Paese.