«La saldatura tra certi gruppi politici e criminalità organizzata è nota. Ora, però, bisogna fare i conti anche con la rabbia sociale dilagante e con il vuoto amministrativo in cui è piombata Napoli»: Raffaele Marino, magistrato di lungo corso e simbolo della lotta alla camorra, commenta la protesta scatenatasi nel centro della città contro il lockdown annunciato (ma non ordinato, almeno per il momento) dal governatore Vincenzo De Luca.

Quale sensazione le hanno provocato quelle immagini?
«Da napoletano mi sono vergognato, sebbene episodi simili si siano verificati anche altrove. Si è trattato di una manifestazione organizzata, annunciata sui social network, dunque ampiamente prevedibile, che alla fine ha segnato il cortocircuito dell’amministrazione attiva e di quella di controllo».

La colpa è della Regione?
«Non dico questo. La Regione fa fronte, per quanto di sua competenza, a un’emergenza sanitaria ed economica senza precedenti. Però l’annuncio del lockdown da parte del presidente De Luca mi è parso improvvido. Anzi, utile solo ad accendere gli animi. Si poteva evitare, tra l’altro, di mostrare la tac di un paziente affetto da Covid. È meglio prendere una decisione e poi comunicarla in modo equilibrato».

Questo ha esasperato gli animi?
«Temo di sì. La pandemia e la crisi economica hanno scatenato la rabbia sociale. Senza dimenticare il ribellismo dei napoletani che storicamente non tollerano certe forme di autorità e di autoritarismo».

Vuol dire che i manifestanti sono in qualche modo giustificati?
«Assolutamente no. Ciò che è successo è intollerabile. La manifestazione era di per sé illecita, in quanto organizzata all’ora in cui scatta il coprifuoco. Alcuni partecipanti hanno commesso pure saccheggi e devastazioni. Ecco, questa è la prova del cortocircuito dell’amministrazione di controllo».

Cioè?
«Le forze dell’ordine si sono fatte cogliere impreparate. È stato angosciante vedere automobili, camionette e furgoni della polizia allontanarsi in fretta e furia per sottrarsi alle bande criminali. C’è stato un deficit di prevenzione. Non si è tenuto conto del tam tam sui social network, in cui si preannunciavano le violenze, né dei consolidati rapporti tra criminalità organizzata e agitatori politici, di cui troviamo traccia in molti processi e inchieste».

Così non si finisce per usare la camorra per far scivolare in secondo piano l’esasperazione scatenata dalla pandemia?
«Ho la sensazione che la camorra investa in molti degli esercizi commerciali chiusi da De Luca. E questo spiegherebbe la massiccia infiltrazione della criminalità tra i manifestanti. Saranno le indagini a chiarirlo. Certo è che Napoli e la Campania sono una polveriera. Qui il vuoto amministrativo crea esasperazione, anche perché manca un preesistente tessuto amministrativo. A Napoli è carente la solidarietà pubblica, cioè quella istituzionale e strutturata, mentre abbonda la beneficenza, cioè quella svolta spontaneamente da tante persone perbene. Basti pensare che la legge regionale che impone di fornire assistenza psicologica ai familiari di disabili è completamente disattesa».

Anche Luigi de Magistris ha delle responsabilità?
«Un sindaco che assiste a una rivolta nella sua città comodamente adagiato in un salotto televisivo, non è uno spettacolo edificante. Ricordo che a Napoli, a differenza di altre città, il Comune non ha provveduto ad allestire una sola struttura per il ricovero degli asintomatici. Ancora di più mi preoccupa il clima di scontro tra sindaco e governatore: non si tratta di divergenze istituzionali, ma di antipatie che sfociano in atteggiamenti infantili dall’una e dall’altra parte. Chi rappresenta un’istituzione, però, non può comportarsi così».

Come se ne esce?
«Serve un piano di aiuti economici perché bisogna tutelare non solo la salute, ma anche le finanze dei campani. Sono indispensabili anche più moderazione da parte dei politici, che non devono alimentare il malessere, e più prevenzione verso certe forme di manifestazione del dissenso, magari valorizzando quel lavoro di mediazione e confronto preventivo che la Digos ha svolto con risultati spesso positivi».

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.