Rivendica con orgoglio il voto decisivo degli arabi israeliani per sconfiggere le destre e il loro leader, Benjamin Netanyahu, alle elezioni del 17 settembre 2019. Ed oggi, a Il Riformista, Ayman Odeh, 45 anni, leader della Joint List – la Lista araba unita, terza forza alla Knesst, il Parlamento israeliano, con i suoi 13 seggi – svela il suo sogno, l’obiettivo di una vita: «Un arabo alla guida d’Israele». I sondaggi per le elezioni del 2 marzo, danno La Lista araba unita in crescita, con una previsione di 15 seggi. «Una cosa è certa – dice Odeh, che la rivista Time ha inserito tra i 1000 astri nascenti della politica a livello mondiale – gli arabi israeliani (il 20,9% su una popolazione, secondo il recentissimo aggiornamento dell’Ufficio Centrale di statistica di 8.907.000, il 74% ebrei, ndr) hanno conquistato uno spazio centrale nella vita politica d’Israele. Non siamo più una riserva indiana, chiunque intenda governare il Paese deve fare i conti con noi. Siamo diventati l’ossessione di Netanyahu e della destra più integralista. Per noi è una medaglia».

Il 2 marzo Israele torna. a votare, per le terze elezioni anticipate in nemmeno un anno. Sarà l’ennesimo referendum su Benjamin Netanyahu, il primo ministro più longevo nella storia d’Israele?
Sarebbe una sciagura se fosse così. Non dobbiamo cadere nella sua trappola. Israele vota per il suo futuro e non per i destini di una singola persona. La magistratura faccia il suo corso, ma Israele deve chiudere l’era Netanyahu non perché si tratta di un primo ministro accusato di gravi reati di frode e corruzione, ma perché le politiche che i suoi governi hanno portato avanti hanno lacerato la società israeliana, accresciuto le disuguaglianze e istituzionalizzato l’esistenza di cittadini di serie A e di serie B sulla base dell’appartenenza etnico-religiosa.

Recenti sondaggi danno la Joint List in crescita di consensi e di seggi, dagli attuali 13 a 15. Seggi che potrebbero risultare decisivi per dare vita a un governo di centro sinistra. Siete pronti ad assumervi responsabilità di governo?
Assolutamente sì. Una democrazia non può definirsi compiuta fino a quando vigerà una sorta di pregiudiziale di fatto nell’inclusione degli arabi israeliani e dei partiti che li rappresentano in grande maggioranza, nel governo d’Israele. Per decenni, la nostra è stata un’esclusione pregiudiziale. Ora non è più così. Nessuno ci ha regalato niente. Abbiamo combattuto perché le problematiche che riguardano una comunità che rappresenta oltre il venti per cento della popolazione d’Israele entrassero nell’agenda politica di chi ha l’ambizione di governare. L’unico futuro di questo paese è un futuro condiviso e non esiste un futuro condiviso senza la piena ed equa partecipazione dei cittadini arabi israeliani. C’è bisogno di una discontinuità netta col passato. L’uscita di scena di Netanyahu è importante ma non basta per imprimere una svolta radicale nel governo d’Israele. Noi arabi israeliani non vogliamo essere tollerati, ma considerati cittadini d’Israele a tutti gli effetti, né più né meno degli ebrei israeliani. È questa la sfida che lanciamo. Ed è una sfida che investe l’essenza stessa della democrazia e dell’idea di nazione. A votarci, il 17 settembre, non sono stati solo gli arabi israeliani, ma tanti ebrei israeliani che condividono la nostra idea di democrazia, che si battono perché lo Stato d’Israele sia, a tutti gli effetti e su ogni piano, lo Stato degli Israeliani, ebrei e arabi. È la rivendicazione di un diritto di cittadinanza che superi le appartenenze comunitarie. Un governo che lavorasse per questo, sarebbe davvero un governo del cambiamento.

Un messaggio indirizzato al leader di Kahol Lavan (Blu Bianco), l’ex capo di stato maggiore di Tsahal, Benny Gantz. Lei lo ha indicato come premier nelle consultazioni che aveva avviato il capo dello Stato israeliano, Reuven Rivlin, dopo il voto del 17 settembre. Vale anche per il futuro?
Durante le trattative per la formazione di un nuovo Governo, abbiamo aperto un tavolo di discussione con Gantz e altri esponenti del suo partito. Per quanto ci riguarda, la priorità non è la nostra partecipazione al governo, ma porre al centro della discussione i temi che stanno più a cuore alla nostra comunità, quelli che riguardano la sicurezza, il lavoro, gli investimenti in infrastrutture e abitazioni, la giustizia sociale, l’istruzione. Di una cosa, sono assolutamente convinto: una democrazia compiuta, solida, è quella che include e non emargina o addirittura cancella l’identità di un 20% della popolazione. Democrazia non è dittatura della maggioranza ma garanzia dei diritti delle minoranze. Minoranze che vanno riconosciute per ciò che sono, vale a dire comunità, e non come sommatoria di singoli cittadini.

Lei parla di svolta. Nel “Piano del secolo” messo a punto dall’amministrazione Trump, per dare soluzione al conflitto israelo-palestinese, si fa un esplicito riferimento all’annessione della Valle del Giordano da parte d’Israele. Qual è in merito la sua posizione?
Di assoluta contrarietà. Dirò di più: la ventilata possibilità che questo “Piano del secolo” venga presentato prima del 2 marzo, rappresenta una ingiustificabile ingerenza nella vita politica interna a Israele. In questo modo, così come è stato con lo spostamento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme e il sostegno all’annessione di una parte della Cisgiordania occupata, il presidente Trump continua a fare campagna elettorale per il suo amico Netanyahu. Non è proseguendo sulla strada della colonizzazione dei Territori palestinesi occupati che Israele potrà raggiungere una pace giusta e duratura con i Palestinesi. Una pace fondata sulla soluzione a due Stati, l’alternativa è istituzionalizzare il regime di apartheid nei Territori, ma questo darebbe un colpo mortale alle residue speranze di pace. Noi vogliamo vivere in un luogo pacifico basato sulla fine dell’occupazione, sulla creazione di uno stato palestinese accanto allo stato di Israele, sulla vera uguaglianza, a livello civile e nazionale, sulla giustizia sociale e sicuramente sulla democrazia per tutti. Un’aspirazione che non potrà mai essere realizzata se al governo ci saranno ancora Netanyahu e le destre razziste.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.