“Securitarismo e giustizialismo sono due mali da cui anche il mio partito, il Pd, deve liberarsi, oltre che combatterli quando, come sta accadendo, un Governo di destra li trasforma in decreti e norme di legge”. Così Matteo Orfini, parlamentare Dem. Il suo è un grido d’allarme che va raccolto e rilanciato.

Lei ha definito quelle sul rave delle normi “folli”, aggiungendo, cito testualmente, che si tratta di “un caso di scuola di quello che possiamo fare se vogliamo davvero rifondare il Pd”.
Cominciamo dal merito delle norme. Norme che non sono contro i rave. I rave sono una scusa. S’inventa l’ennesimo mostro da additare all’opinione pubblica, in questo caso i rave, e si propone, per l’ennesima volta, una legislazione speciale volta a contrastare questo “terribile” fenomeno che a quanto pare dovrebbe essere il principale problema visto che al primo Consiglio dei ministri è stato subito affrontato addirittura con una misura urgente. Sono norme che in realtà come ormai stanno dicendo tutti, anche giuristi indipendenti, sono applicabili a qualunque tipo di assembramento, non solo ai rave, e quindi possono mettere in discussione il diritto di manifestare, il diritto di esprimere un parere dissonante rispetto a chi governa o amministra. Possono colpire indiscriminatamente chiunque. Sono norme sbagliate e pericolose. Quando l’abbiamo segnalato Piantedosi si è detto offeso per le nostre critiche. Ma il ministro Piantedosi dovrebbe ricordarsi, appunto, che è diventato un ministro e che non è più un prefetto e quindi si deve abituare a ricevere critiche, soprattutto quando scrive delle norme con i piedi. Ho visto che anche nella sua maggioranza, per fortuna, altri, anche nel Governo, hanno aperto a modifiche di un testo che nella migliore delle ipotesi è scritto male, nella peggiore tradisce una impostazione pericolosa.

Lei ha parlato di una visione securitaria. È corretto aggiungere anche giustizialista?
Assolutamente sì. Quando dico che è un caso di scuola di quello che dovremmo fare, è perché da un lato penso che noi facciamo bene a chiedere il ritiro della norma sui rave, ma a questo aggiungo che sull’impianto culturale che la produce, dobbiamo fare una riflessione che riguarda anche il Pd. Perché in questi anni il securitarismo, cioè l’idea che il tema della sicurezza venga declinato con politiche securitarie e sostanzialmente di destra, ha riguardato anche il Pd. Le norme speciali per garantire l’ordine pubblico sono iniziate con Minniti al ministero dell’Interno, sono proseguite col Conte1 che fa i decreti sicurezza, che riguardavano anche l’ordine pubblico, insieme a Salvini, sono andate avanti anche con il Conte2, perché quando noi abbiamo messo mano ai decreti sicurezza sulla parte che riguarda l’immigrazione, non si è voluto toccare quella sull’ordine pubblico. Giace ancora in Parlamento un mio disegno di legge che abrogava quelle norme sull’ordine pubblico. Però non è stato possibile agire in questo senso perché né il Movimento5Stelle, con il presidente Conte, né il Pd di allora erano d’accordo a toccare quelle norme. E questo proprio perché una certa visione securitaria è stata molto forte anche dentro al Partito democratico, tra i suoi gruppi parlamentari, tra i suoi gruppi dirigenti, tra i suoi amministratori. Non possiamo chiamarci fuori da una considerazione che è nella realtà storico-politica di questi anni, vale a dire aver ridotto ogni fenomeno complesso a un tema di sicurezza. Ed è stato fatto con leggi sempre più dure alcune delle quali risalgono a governi dei quali facevamo parte e anche con ruoli ministeriali rilevanti. Questo significa che la sicurezza non è un tema? Certo che lo è. Ed è un tema che riguarda soprattutto i più deboli, ma declinarla in un modo securitario è una risposta di destra. Noi se vogliamo discutere di sicurezza dovremmo farlo avanzando misure diverse da quelle che propone la destra. Sicurezza intesa prima di tutto come sicurezza sociale, il che vuol dire avere un lavoro, avere una casa. Vuol dire avere diritto di vedere riconosciuti i propri diritti, vivere in una comunità coesa dove i sono reti di solidarietà. È così che si costruisce sicurezza.

Non solo decreto anti-raduni. Nei propositi dichiarati del governo Meloni c’è anche l’ergastolo ostativo e l’affossamento della riforma Cartabia.
Questa è l’altra pagina oscura e inquietante. Tra l’altro stupisce che ciò avvenga quando ministro di Grazia e Giustizia è una personalità come Nordio, che probabilmente si era distratto al primo Consiglio dei ministri o che non è ancora entrato nel ruolo, però dispiace che si sia scelta quella strada lì. Anche su questo io penso che noi dovremmo riflettere sulle posizioni che in questi anni ha assunto il Partito democratico. Devo dire che alcuni lo hanno fatto anche nella passata legislatura. Mi fa piacere ricordare la battaglia che su questo ha fatto Enza Bruno Bossio, quasi da sola, nel gruppo del Pd, per avere un’altra posizione sull’ergastolo ostativo che fosse meno subalterna a una visione giustizialista e punitiva che probabilmente era dettata dalla volontà di non rompere su questo con il Movimento 5Stelle. Penso che securitarismo e giustizialismo sono due mali che in questi anni hanno colpito anche il Partito democratico e la sinistra. Se vogliamo sviluppare una discussione vera su quello che non ha funzionato questi temi devono essere affrontati.

A proposito di temi da affrontare e di autocritiche, il 2 novembre, in assenza di una revisione da parte del Parlamento, il Memorandum d’intesa Italia-Libia, è stato rinnovato automaticamente per altri tre anni, E questo nonostante l’appello accorato di quaranta organizzazioni della società civile perché quel “patto infame” fosse cancellato. Nella scorsa legislatura lei è stato tra in non molti parlamentari che votarono contro il rinnovo. Non è una vergogna aver reiterato quel patto scellerato?
Assolutamente sì. Devo dire, per onestà politica e intellettuale, che in questo caso non possiamo farne una colpa solo a questo Governo che è in carica da pochi giorni. A dover essere chiamato in causa è anche il precedente Governo e con esso pure quelli antecedenti. Quando c’era il governo Conte bis alcuni di noi chiesero già allora che quel Memorandum non fosse rinnovato tacitamente. Ci fu detto dall’allora ministra Lamorgese in aula che lo si sarebbe rinnovato ma esigendo dalla Libia delle modifiche che garantissero il rispetto dei diritti umani. Nulla di tutto questo è avvenuto. Ciononostante né prima il governo Conte né dopo il governo Draghi né l’attuale appena avviato, hanno fatto nulla per interrompere o rimodulare il rapporto con la Libia. Sappiamo tutti che gli effetti di quel Memorandum sono la violazione sistematica, stupri, omicidi e quant’altro. Eppure si è deciso ancora una volta di chiudere gli occhi. Io penso che questa sarà nei libri di storia una delle pagine più vergognose della storia del nostro Paese e come tale verrà ricordata. L’aggravante è che da tempo si sa tutto. All’inizio si poteva anche dire che quando si erano fatti si puntava su un processo di pacificazione e di stabilizzazione democratica. Oggi che quell’impianto lì è fallito lo dice anche, con onestà intellettuale, Minniti che l’ha ideato e che ora dice che non ha più senso quel Memorandum. Ma noi lo continuiamo a tenere in vita facendo finta di niente.

Subito dopo l’insediamento di questo Governo, abbiamo assistito ad una poco edificante corsa, soprattutto in una certa stampa mainstream, a modificare, in un senso moderato e tranquillizzante, il profilo politico e la storia di Giorgia Meloni.
Giorgia Meloni è romana come me. E più o meno è della mia stessa generazione. La conosco bene e da tanto tempo. Penso, a ragion veduta, che non abbia mai nascosto nulla. L’impianto con cui ha vinto le elezioni è lo stesso che persegue, devo dire con coerenza, da anni. Stupirsi di quello che fa Giorgia Meloni non ha alcun senso. E neanche scandalizzarsi, o provare ad addolcire la pillola. Lei su questa linea ha vinto le elezioni. Questo è il primo Governo da tanti anni forte di una vittoria elettorale, con una maggioranza politica che ha vinto le elezioni. Quindi Meloni governa su una linea politica. E questo significa che anche noi abbiamo il dovere di rispondere con la politica a una sfida politica, tenendo conto della forza con cui è uscita dalle elezioni, dell’impianto di destra con cui ha vinto, che è risultato forte nel Paese, non maggioritario nel senso che sono più quelli che non l’hanno votata che quelli che l’hanno fatto, ma una forte maggioranza parlamentare ce l’ha e quindi spetta a noi costruire una sfida all’altezza.

Quando autorevoli giornali stranieri, come il New York Times o il Guardian definivano il Governo che stava per nascere come il più a destra nella storia d’Italia dopo Benito Mussolini, alla luce di ciò che sta accadendo era una forzatura giornalistica?
No. Mi pare che questo sia un Governo oggettivamente molto di destra. Orgogliosamente ed esplicitamente di destra, non fanno nulla per nasconderlo, anzi lo rivendicano. Non erano forzature. Era la cronaca.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.