Il suo è un incarico che si avvicina molto a una “mission impossible”: riorganizzare dalle fondamenta il Partito democratico. È il compito che Enrico Letta ha affidato a Stefano Vaccari, responsabile nazionale d’organizzazione dem, già sindaco di Nonantola, amministratore della provincia di Modena e senatore.

In una intervista a questo giornale, Nadia Urbinati ha definito l’attuale Pd “una confederazione di fazioni” dentro la quale, al di là del valore delle singole, le donne sono condannate a fare da “segnaposti”. È un’analisi impietosa?
È un’analisi fuorviante. Siamo plurali, non faziosi. Non c’è democrazia senza pluralismo, diceva Ciampi. Il pluralismo è ricchezza di idee, confronto, discussione civile, ascolto delle ragioni degli altri per garantire la comunanza fra diversi. Diventa un male quando degenera e si atrofizza e, dietro al silenzio assenso delle decisioni, si tenta di contrattare postazioni di potere. Sulle donne stiamo ai fatti e vedremo che il tema dei segnaposti non esiste: da marzo 2019 si è ridata centralità alla Conferenza delle Democratiche, eleggendo la nuova Portavoce, e oggi è un luogo trasversale di elaborazione. Quelle idee sono approdate nel Women New Deal proposto dal Pd al Governo Conte. Abbiamo modificato lo Statuto, per rendere effettiva la parità di genere negli organismi esecutivi e per ridare centralità agli iscritti e ai circoli. Proprio quello che Nadia Urbinati ha chiesto. Il Segretario Letta tenacemente vuole procedere su quella strada con atti politici coerenti.

Sempre dalle pagine del Riformista, Roberto Morassut ha evocato, con argomenti pungenti, la necessità di una “Bolognina2” che vada oltre l’attuale perimetro dem.
Condivido in gran parte le riflessioni di Morassut. La forma partito che il Pd ha cercato di costruire, l’unica ancora così popolare e diffusa sul territorio, è anche quella che mostra i suoi limiti nella capacità di attrazione di mondi esterni. Il segno +10% sugli iscritti del 2019, è stato un segnale importante seppur non sufficiente. Dentro la pandemia, abbiamo ripensato il modo di essere una comunità politica, dando vicinanza a chi aveva più bisogno, usando le piattaforme digitali e i social per informare, discutere nei gruppi dirigenti e parlamentari, e incontrare i portatori di interesse sui provvedimenti del governo Conte. È nata “Immagina” -una piattaforma web prima, una webradio poi – per raccogliere idee, contributi, soluzioni. Insomma si risale la china e si è utili al Paese e alla vita delle persone. Facciamo tesoro del percorso avviato e dentro le Agorà democratiche innerviamo la forza dell’innovazione che c’è con quella che manca, raccogliendola dai tanti soggetti esterni che ci vedono interlocutori credibili e seri, oltre che più smart. La sfida del vademecum lanciata da Letta è stata un successo: in 10 giorni è stato discusso online da oltre 2700 circoli (oltre 37.000 iscritti partecipanti). È il segnale che si può aprire una stagione costituente, fondata sul nesso idee-partecipazione, per trasformare il PD.

Nicola Zingaretti, nel rassegnare le sue dimissioni, ha usato termini molto forti, dicendosi “schifato” per le manovre interne che nulla avevano a che fare con i problemi del Paese. Perché Letta dovrebbe riuscire laddove Zingaretti ha fallito?
Zingaretti ha denunciato, con coraggio e generosità, un atteggiamento malato del nostro partito con un atto politico senza precedenti. Le ragioni che portarono 1 milione e 600 mila persone a ridare ancora fiducia al Pd dopo la drammatica sconfitta del 2018 sono ancora tutte valide. Letta ha scommesso su quella fiducia. Ha puntato sul protagonismo degli iscritti e amministratori locali che (fuori dai circuiti mediatici), costruiscono un partito di prossimità sui territori, raccogliendo tonnellate di generi alimentari, assistendo gli anziani e i senza tetto, lottando contro le discriminazioni. Fuori dal Pd c’è chi non si arrende alla degenerazione della politica e alle crescenti disuguaglianze, che conduce attività imprenditoriali e professionali, che resiste ad un mercato del lavoro frammentato e precarizzato, che fa volontariato e che continua a guardare a noi come all’unica forza in grado di rappresentarli. Oltre ogni strumentalizzazione questo è il senso e il significato della parola “riformismo”: migliorare la vita degli altri, abbattere privilegi e costruire tutele e diritti per chi non ne ha.

L’unanimismo di facciata non è uno dei “mali” dell’attuale Pd e come arrivare ad un Congresso non imprigionato dai capicorrente?
Negli ultimi due anni si è sempre cercato l’unità non l’unanimismo. In due anni 28 direzioni e 3 assemblee nazionali nelle quali si è discusso e votato (quasi) sempre in modo unanime. Se qualcuno ha scelto di nascondersi dietro l’unità per cercare rendite di posizione il problema è suo. La scelta di tenere unito il Pd, nelle sfide al Governo del Paese e nella competizione elettorale, è però risultata vincente. Oltre il tanto vociare, i numeri sono argomenti testardi in politica. E registro un paradosso: dopo l’elezione di Letta, non si parla più di congresso e l’alleanza con i 5S non è più un problema, ma anzi Conte è il leader giusto con il quale dialogare. Voglio sorridere di fronte a questi repentini ripensamenti perché so che il Pd non ha mai perso la sua vocazione maggioritaria, cioè la capacità di essere il perno in una coalizione larga, progressista, europeista, ambientalista e di cambiamento del Paese, per battere la destra. A cominciare dalla prossima sfida che ci aspetta per il governo di oltre 1200 comuni tra cui 5 città metropolitane.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.