Una partita aperta. Che rischia ancora di degenerare in un conflitto armato. La “partita Ucraina”. Il Riformista ne discute con il generale Vincenzo Camporini, già Capo di Stato Maggiore della Difesa, e prim’ancora dell’Aeronautica militare, consigliere scientifico dello Iai (Istituto affari internazionali). Camporini è tra i fondatori di Azione di cui è responsabile difesa e sicurezza.

Mosca ha annunciato l’inizio del ritiro delle sue Forze armate. Washington ribatte sostenendo che i Russi hanno aggiunto altri 7mila soldati al confine con l’Ucraina. Generale Camporini, chi ha ragione?
La propaganda di parte lascia il campo in questi casi alla oggettività tecnologica…

Nel senso?
Nel senso che accertare la verità dei fatti oggi è possibile. Lo si è visto che oggi disponiamo di satelliti da ricognizione in grado di riprendere immagini così precise e dettagliate per cui non è possibile nascondere 10mila uomini o 550 carri armati. Per esprimere un giudizio dovremmo avere a disposizione dei dati certi, il che non è possibile, almeno allo stato dell’arte, visto che ciascuno dice la sua. Sicuramente i nostri sistemi europei d’intelligence qualche informazione in più ce l’avranno. Ciò detto, il problema fondamentale è capire le intenzioni dei Russi.

E quali sarebbero le reali intenzioni di Vladimir Putin?
Sostengo da tempo che i Russi non hanno alcuna intenzione di attaccare. Stanno semplicemente usando la presenza militare come mezzo di pressione per ottenere dei risultati politici sia nei confronti di Kiev sia nei confronti del mondo occidentale. Uno è l’avvio dell’applicazione degli accordi di Minsk2 che prevedono una sostanziale autonomia delle regioni del Donbass, quindi Lugansk e di Donesk, con delle forme di autogestione che in qualche modo possano soddisfare le esigenze della popolazione locale russofona. Quindi l’uso della lingua, l’autogestione della vita in comune. Questi accordi furono sottoscritti a fine 2014, dopo l’invasione e l’annessione della Crimea da parte della Russia, da una conferenza tripartita che comprendeva Russi, Ucraini e rappresentanti dell’Osce, ed anche con la presenza di esponenti dei separatisti russi. C’è un accordo molto dettagliato, che prevedeva tutta una serie di passi che ciascuna delle parti in causa doveva fare. Tutte le parti hanno aspettato che fosse l’altra a fare il primo passo e il risultato è che nessuno si è mosso e la situazione è rimasta quella che era, con una conflittualità permanente, 14mila morti e atrocità varie. Attuare Minsk2 è uno degli obiettivi che Mosca intende perseguire.

E l’altro?
Ripristinare il prestigio della Russia come attore globale, cosa che Putin ha perseguito con grande coerenza da dieci anni a questa parte, con la presenza in Siria, in Libia, adesso con l’attivismo in Mali. Non va dimenticato che lo “Zar” disse a suo tempo che la scomparsa dell’Unione Sovietica è stata la più grande tragedia del secolo e lui intende ripristinare il prestigio di quella che era l’Urss sotto l’egida di Mosca. Con quello che sta facendo, Putin sta dimostrando che non si possono fare i conti senza che al tavolo delle decisioni non vi sia anche lui. Magari come uno dei capitavola. Essere un elemento chiave degli equilibri globali. Questo è un risultato politico molto importante per la Russia di Putin, anche se sembra non abbia grossi contenuti dal punto di vista pratico, ma ce li ha. E poi c’è l’elemento simbolico, identitario, quello del panrussismo, su cui Putin ha in parte costruito il consenso interno. Se poi un altro dei suoi obiettivi era quello di disarticolare la Nato, non credo che possa dire di averlo raggiunto.

Perché, generale Camporini?
Dopo qualche incertezza iniziale, l’atteggiamento russo, l’aggressività manifestata, a parole e sul campo, ha finito per ricompattare la Nato in modo tale che tutti si sono riallineati, sia pure con sfumature diverse, su una certa linea politica, fermo restando che ogni paese ha i suoi obiettivi personali: i Tedeschi il Nord Stream2, i Francesi hanno le prossime elezioni, oltre che la grandeur, noi non abbiamo niente ça va sans dire. Il ricompattamento della Nato è andato contro le aspettative di Putin.

Fin qui abbiamo messo a fuoco gli obiettivi, raggiunti o no, della Russia. E l’America? Esiste una strategia geopolitica e militare dell’amministrazione Biden? E da persona che ha vissuto una vita sul campo, ricoprendo incarichi di comando apicali, che ha pensato quando Washington ha tirato fuori pure giorno e ora dell’invasione russa, il 16 febbraio?
Io fatico a trovare una linea politica da parte degli Stati Uniti. C’è la voglia di frenare comunque le ambizioni di Putin e vi sono poi i problemi di politica interna. Negli Stati Uniti si sta andando verso le elezioni di midterm (novembre 2022, ndr) che rischiano di essere un bagno di sangue per i Democratici. Se il commander in chief, il presidente Biden, non dà evidenza all’elettorato di essere un capo con gli attributi, rischia di perdere altri voti e quindi questo potrebbe essere un motivo che induce l’Amministrazione ad essere piuttosto rigida. Altro non saprei individuare. Quanto poi a questi annunci orari sull’attacco, beh, limitiamoci a dire per carità di patria che lasciano un po’ perplessi. Dal punto di vista tecnico, non ha senso. Oltre tutto sappiamo benissimo che il più grande atout di un attaccante è la sorpresa. E sono stati gli stessi Russi a farla venir meno, ammassando per giorni e giorni tante truppe al confine, e ciò indica delle ipotetiche intenzioni che scoprono la strategia e quindi fanno venir meno la sorpresa. E questo è uno dei tanti motivi per cui credo che alla fine si sarà trattato di uno show-force che potrà portare ad alcuni nuovi tipi di accordi all’interno del quadrante europeo.

L’Europa per l’appunto. L’impressione è che l’Europa, in quanto attore politico unitario, anche in questo frangente ha perso un’occasione. Lei che ne dice?
Dico che è molto triste e scoraggiante constatare come non tanto l’Unione Europea ma i governi dei paesi membri dell’Ue non siano riusciti a sedersi attorno a un tavolo per elaborare una comune politica estera, con degli obiettivi comuni da sostenere con tutti i mezzi comuni, mezzi che sono quelli diplomatici, industriali, tecnologici e certamente anche mezzi militari. L’Europa, purtroppo, deve ancora fare molta strada su questo percorso e non vedo segnali di intenzioni in tal senso. Mancano le leadership: i Tedeschi devono ancora capire chi è al governo, e devono capirlo anche coloro che del governo fanno parte, i Francesi aspettano le elezioni di aprile, e noi siamo noi, meno male che abbiamo lo stellone con Draghi, ma certo è che non c’è milleur politico italiano che possa in qualche modo fungere da traino, come sarebbe auspicabile, per una visione comune in Europa che possa essere etichettata come la volontà di perseguire obiettivi comuni.

Anche in questo frangente c’è chi ha evocato la necessità di un Esercito comune europeo…
Tutte chiacchiere. Vede, si è spesso sentito parlare di Esercito europeo. Io vorrei sottolineare ancora una volta che l’esercito, le Forze armate, sono uno strumento della politica estera. Quindi se non c’è una politica estera da sostenere è inutile avere lo strumento. È uno spreco di risorse. Quello che conta è una volontà politica dei governi dei paesi dell’Unione, che fino ad adesso non si è affatto concretizzata. I passi che bisogna fare sono chiari a tutti, il problema è che nessuno li vuole fare purtroppo. E questo lascia l’Europa in qualche modo in balia di quello che accade intorno a lei. Io sostengo sempre che i destini dei nostri paesi oggi non vengono più decisi nelle nostre capitali. Vengono decisi a Washington, a Pechino, a Mosca e questo non mi sta bene. È una constatazione amara fatta da me che ho dedicato anni della mia vita a questo tema. Manca una visione condivisa dell’interesse che ci accomuna e che invece viene visto, e praticato, come interesse dei singoli paesi, per cui la Germania è molto preoccupata del suo gas, e quindi ha un atteggiamento molto prudente: l’invio di 5mila elmetti all’esercito ucraino è qualche cosa di grottesco. L’attivismo francese è volto non tanto all’affermazione di una posizione europea, quanto ad una riaffermazione del ruolo della Francia. Quanto all’Italia, è meglio stendere un velo pietoso. In questo periodo chi ha responsabilità politiche ha totalmente dimenticato quello che succede al nostro esterno. Tant’è che si è verificato questo bizzarro incontro fra Putin e le industrie italiane, programmato da tempo ma che le circostanze avrebbero dovuto suggerire quanto meno di rinviare. L’amara verità è che noi europei non siamo in grado di garantire sicurezza e stabilità al nostro quadrante.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.